Esercizi spirituali 2021 – Quarta meditazione

IL DESIDERIO SI FA PROMESSA – LA COMPASSIONE VITALE (Mc 16,1-8)

Ecco, carissimi, siamo pronti per la penultima catechesi. Una catechesi quella di oggi che vorrei che in modo particolare colpisse tutti noi, che ci aiutasse a vivere meglio questa Pasqua ormai imminente. Innanzitutto saluto gli amici di san Bernardo, di san Giovanni e di san Michele, tutti coloro che ci stanno ascoltando, quelli che ci ascolteranno in differita, saluto tantissimo le suore di sant’Anna, don Giovanni e tutti i suoi collaboratori.

Oggi vorrei parlare con voi, condividere con voi un Vangelo molto molto bello, breve, potremmo dire quasi sorprendente. Siamo nell’evangelista Marco – io spero ciascuno di voi abbia con sé un Vangelo – capitolo 16. Il capitolo 16 è l’ultimo capitolo con cui si chiude il Vangelo. Però la sua storia redazionale è un po’ particolare perché l’evangelista Marco scrive di suo pugno dal versetto 1 al versetto 8, gli altri versetti sono stati aggiunti dalla comunità di Marco, non perché si siano inventati delle cose ma perché hanno raccolto la testimonianza degli altri evangelisti e hanno fatto una chiusa concorde a tutti.  Perché è sorprendente quanto Marco ora ci racconta. 

Lettura del brano di Vangelo

Ecco, questo è il brano, e in teoria il Vangelo finisce così. Ed è un mistero, è un giallo che potremmo questa sera affrontare insieme, il giallo del termine del capitolo 16 di Marco. Di per sé il Vangelo finirebbe al versetto 8 vi dicevo e nei testi che trovate dopo ci si accorge dalla minima analisi grammaticale e di vocabolario che sono di un altro autore. Marco finisce al versetto 8 e finisce in modo strano, finisce con delle donne che tacciono e non solo, ma finisce con una parola: “poiché erano impaurite”. Ma come? Un Vangelo che termina con una paura che blocca. Un Vangelo che è buona notizia che si scontra con la paura. Vediamo subito questo Vangelo, sono 8 versetti, lo vediamo versetto dopo versetto. Innanzitutto, “Passato il sabato”: abbiamo tre donne, le tre Marie. Interessante il cammino di queste donne: sono immagine della Chiesa, esse sono state ai piedi della Croce e ora sono davanti al sepolcro. Entrano nel sepolcro ed è passato il sabato. E’ passato il sabato. Il tempo con cui noi oggi ci confrontiamo è il sabato. Allora dobbiamo ricordarci alcune cose, che è importante: sabato – sepolcro, sabato – sepolcro – pietra rotolata. Queste tre dinamiche. Sono le tre grandi conversioni di cui abbiamo bisogno: la conversione sul tempo, la conversione della memoria (il sepolcro) e la conversione dalla paura. La conversione, innanzitutto, del nostro tempo: sabato era il giorno di festa per gli ebrei, era il giorno conclusivo, il giorno cosiddetto sabbatico di Dio dalla creazione. Il primo giorno lavorativo era quello che noi potremmo definire come la domenica. Anche nella lingua latina il lunedì è chiamato ‘feria secunda’; se c’è una feria secunda secondo voi cosa ci sarà? Una feria prima. E qual è la feria prima? La domenica. La domenica è la feria prima, feria secunda il lunedì e il sabato era il giorno di grande festa. Per i cristiani la grande festa è un tempo allargato potremmo dire, un tempo che inizia il sabato e che comprende tutto il giorno seguente. Ecco, molti cristiani vivono nel lunedì, molti cristiani non vivono nella festa, molti cristiani vivono il proprio tempo come un tempo morto, come un tempo fatto solo di fatica, di sofferenza, un tempo fatto di tante cose da farsi ma che alla fine non mi danno nessuna gioia. Non è vero che noi facciamo tante cose cattive, no, facciamo anche magari tante cose buone, ma viviamo il tempo in modo frenetico, parcellizziamo il tempo, il nostro tempo è un tempo che è frammentato. La frammentazione del tempo, la spartizione del tempo fa sì che tu vivi costantemente sotto l’idolo del tempo: “non ho il tempo, non c’è tempo, non devo perdere tempo”. Eppure è proprio quello che perdi. Perdiamo tantissimo tempo noi, soprattutto perché abbiamo legato il tempo a un successo da compiere. Per cui non godiamo più della festa, non esiste più il giorno di festa. E la cosa paradossale è che il giorno di festa diventa il giorno in cui smetti di lavorare. Per cui succede questo piccolo aspetto interessante: persone che mi dicono “padre, io non sono andato a Messa la Domenica però la recupero il giovedì, perché il giovedì sono a casa dal lavoro”: allora, il tuo giorno di festa è diventato il giorno in cui tu non lavori. Che è vero che originariamente era anche così, ma è come effetto, non come causa. La causa era la santificazione del tempo per consacrarlo a Dio, e dunque l’effetto era smettevi di lavorare. Qui si è invertito: la causa è smetto di lavorare, dunque ho tempo per me. E allora avendo tempo per me lo dò anche se ce la faccio a Dio. Questo è interessantissimo. Questo Vangelo ci insegna ad avere una responsabilizzazione del tempo, a vivere il tempo come incontro, come non solo il passaggio da un prima a un poi ma come ‘Kairos’, cioè come pienezza, come storia sacra. Allora ha senso consacrare il tempo a Dio, la preghiera diventa non solo una formula da dire al Signore ma diventa consacrazione del tempo perché quel tempo è di Dio. Le grandi cose richiedono tempo. E il tempo, appunto, è di Dio. Bisogna ricordarselo questo. Quindi la prima grande conversione è il tempo. Che rapporto hai con il tempo? Vi ricordate il coniglio bianco di Alice nel paese delle meraviglie? Il coniglio bianco di Alice è un coniglio all’inglese, quindi ha il panciotto e ha sempre in tasca un orologio a cipolla. Lui non fa nient’altro che, ogni qual volta saltella ansioso, aprirlo e ripetere questa frase che in lingua italiana si dice “sono in ritardo, sono in ritardo”. E’ interessante come nella letteratura anche vi è un’infinità di associazioni del tempo con gli animali: lo stesso coccodrillo di Peter Pan è la paura del tempo che passa, è l’ossessione del Capitan Uncino che ha paura di invecchiare e di morire, che gli ha già preso una parte di sé, cioè una parte del proprio tempo, la mano. Ma il coniglio bianco di Alice ci ricorda che noi siamo costantemente ansiosi ed affannati a vivere il tempo. Siamo costantemente in ritardo sul tempo, viviamo costantemente di corsa. Allora il Signore ti dice “Fermati”. “Passato il sabato”: ecco, c’è un tempo, c’è un tempo in cui tu devi dedicarti, dedicare te stesso e agli altri in questo atto d’amore verso Dio. Comprano oli aromatici per andare a ungerLo: vedremo questo atto di carità. Ma vorrei fare un’altra specificazione, vanno al sepolcro: il sepolcro è una parola greca che ha come radice la memoria. E ci vanno di buon mattino, al mattino presto. Il primo dei sabati vengono al sepolcro queste tre donne, il sole è già sorto e loro non lo sanno. La parola greca che definisce il sepolcro dice “memoria”, memoria ha dentro di sé la radice di morte. Cioè noi tutti abbiamo una memoria comune che è la morte che ci tocca tutti. E l’uomo non può liberarsi da quella memoria, è la sua memoria fondamentale. Difatti tutto quello che facciamo, se stiamo attenti, lo facciamo per evitare la morte. Quindi l’abbiamo ben presente. L’istinto di autoconservazione è una costante memoria della morte. Non tanto della paura della morte, ma del fatto della consapevolezza del fatto che non siamo eterni, che la nostra vita prima o poi cesserà di esistere, che il mio cuore si fermerà. Il fatto che io non possa comandare il tempo. Il fatto che il coccodrillo mi abbia mangiato una mano – e quindi che una parte del mio tempo non esista più – è il costante ticchettio che nelle fauci del coccodrillo vi è quella sveglia che è l’indice del tempo che passa. I latini dicevano ‘memorare novissima tua et in aeternum non peccabis’ (ricordati della tua fine e non peccherai in eterno): il ricordo della morte è fondamentale, non tanto per ricordarsi che prima o poi moriremo. questo lo sappiamo – ma semplicemente per vivere bene il mio tempo, non in un’illusione adolescenziale di essere eternamente presente. E poi c’è una pietra che va rotolata, c’è una pietra che ora affrontiamo. “Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vanno al sepolcro al levar del sole”: la prima cosa che fanno è cercare di affrontare il problema della morte. Dicevano tra loro “chi ci farà rotolare via la grande pietra?”. Ecco, la pietra rappresenta la paura della morte. A tavola questa sera parlavamo di come si sia perso il culto e anche l’affetto per il ricordo dei nostri cari. Quanti anche nostri giovani non sono più abituati alla frequentazione del cimitero. Io ricordo da ragazzino, da bimbo, il parente, il nonno moriva in casa oppure si andava ogni domenica al cimitero a visitare i propri defunti, si imparava una ritualità, un culto, un onore verso i nostri cari defunti. Era importante questa memoria, non della morte ma del fatto che una persona cara è all’interno di una presenza diversa, ma che vi è un segno che ci dice che la sua presenza terrena non c’è più. La morte. E parlavamo come vi è un rito all’interno della sepoltura che dice molto: quando il feretro viene messo nel suo loculo e a un certo punto viene questo omino, il muratore, che mette i mattoni, chiude il loculo. Tu senti, percepisci dinnanzi – ve l’ho già detto più di una volta perché mi colpisce sempre questo aspetto – come le persone che guardano quel loculo dicono “ora è veramente finita”. Ecco, molti cristiani hanno la fede del sepolcro vuoto: hanno la fede di un sepolcro chiuso e pensano che al di là di quella pietra non ci sia più nulla. Sì, sanno che c’è in cadavere, ma sanno che quel cadavere andrà in putrefazione, che sparirà, e quindi il nulla. Come si fa a vivere il giorno della festa sapendo che è un giorno di vita, sapendo che è un giorno di risurrezione, sapendo che è un giorno di grazia, se hai una fede in un morto? O meglio ancora, non tanto in un morto ma – ancora più radicale – nel nulla. “Chi ci farà rotolare via la pietra dal sepolcro?” Perché è molto grande. La paura della morte, la paura della vita. Diceva un autore che chi non sa vivere da solo non sa vivere in comunità. E viceversa, chi non sa vivere in comunità non sa vivere da solo. Potremmo parafrasare: chi non sa vivere non sa morire e chi non sa morire non sa vivere. Non solo uno muore come ha vissuto – e i santi ce lo raccontano: san Benedetto muore durante l’officiatura, sant’Agostino muore guardando i Salmi, san Domenico nostro Padre muore predicando, fa l’ultima grande predica, san Francesco muore sulla nuda terra, quella terra che lui aveva lodato e che per lui era segno dell’incontro con Dio. Ma il problema è come hai vissuto. Come hai vissuto? Questa compassione vitale necessita di metterla a fuoco in modo più chiaro. Il problema, vi ripeto non è la morte, ma la vita. Ecco perché io continuo a ripetere la frase del Salmo “Signore, dammi vita”: Signore, dammi vita perché ci sono troppe morti nella nostra esistenza, nella mia storia. Troppe morti. Cosa succede? Succede che la nostra memoria diventa vuota se riusciamo a convertirla: una memoria che diventa vuota perché non è più memoria di morte ma memoria di vita. E’ il problema dell’uomo: chi ci libererà da questo peso che ci chiude, cioè la morte? E intanto vediamo un fatto interessante: le tre donne arrivano, vedono che la pietra è rotolata via, non stanno lì ma entrano nel sepolcro. Cosa trovano nel sepolcro? Uno si aspetta, dopo tre giorni, di trovare un morto come tutti in putrefazione, tanto che avevano portato oli aromatici proprio per in un certo qual modo rallentare il processo della putrefazione e per quanto possibile mantenerlo. Sorprendentemente, quando tu riesci a far rotolare via la pietra della paura, a svuotare la tua memoria di morte, trovi una sorpresa: la sorpresa della vita. Trovano un giovane: ma come, non doveva essere un morto? No, trovano un giovane. Un giovane adagiato alla destra, in veste bianca. Un giovane adagiato alla destra: si riferisce alla potenza di Dio – nella piena potenza di Dio. Non trovano un cadavere ma trovano la potenza di Dio. Vestito di bianco, che è segno della vittoria. Allora, se tu apri il tuo cuore, la tua mente, la tua vita alla fede, alla fede di Cristo Gesù, e attraversi con Lui la tua morte, intrecciandola con la Sua morte, tu scoprirai nel tuo sepolcro – che potrebbe essere non semplicemente il loculo finale, dove andrai a finire disteso, ma quella situazione della tua vita che non riesci a venirne fuori, da quella situazione di tradimento, di menzogna, di oscurità, di putrefazione – lì troverai la potenza della vittoria di Dio, la vita. Quindi nel luogo della morte, invece di un morto trovano una vita nuova, un giovane. Invece di qualcosa disteso, di vinto, trovano uno nella piena potenza, e invece che nudo, fragile, lo trovano avvolte in bianche vesti di splendore come vincitore. E’ ovvio che rimangono spaventati. E sapete perché rimaniamo spaventati, noi? Sapete perché facciamo fatica a credere alla Risurrezione, e anzi siamo più portati a credere alla reincarnazione (che è una roba diversa e non particolarmente bella perché la reincarnazione non è altro che un moto catartico per cui tu rinasci infinità di volte finchè non vieni purificato dal tuo karma negativo, per poi giungere a che cosa? A una dissoluzione che non è che sia una grande speranza)? La Risurrezione a noi spaventa sapete perché? Perché l’unica certezza che noi abbiamo nella vita è la morte. E invece arrivare lì – al sepolcro – e trovarlo vuoto, con la pietra ribaltata e un giovane seduto in bianche vesti che ti parla – e quindi trovare la vita – rimani stupito, sbalordito, impaurito, perché se mi crolla anche l’unica certezza che ho – che la morte alla fine di tutto – cosa mi rimane? La vita. Ve lo ripeto con forza, il problema non è la morte, è come stai vivendo, è come tu stai portando aventi la tua storia. E questo giovane dice “voi cercate Gesù nazareno, il crocifisso”: è specifico il giovane. “Voi cercate Gesù, nazareno”, quindi dice: Gesù, colui che porta il nome della promessa realizzata (Dio ti salva), nazareno (quindi colui che non solo è una promessa realizzata, mantenuta, ma storica), il crocifisso (colui che è passato attraverso quella Passione. Non stai cercando un fantasma, non stai cercando un profeta, non stai cercando un fenomeno, stai cercando IL crocifisso, il Risorto crocifisso. Dove la Risurrezione non annulla la crocifissione ma la crocifissione viene trasfigurata nella Risurrezione. E poi la cosa importante, “E’ risorto, non è qui”: è importante che non sia lì; se fosse lì non sarebbe vero nulla del Vangelo. Sarebbe stato un buon uomo – come Socrate, ce ne sono stati tanti nella storia, con buoni messaggi, eroi magari – ma non avrebbe cambiato nulla alla mia vita. Questo è il messaggio cristiano: non è lì. Dio non si trova nella tua morte come morto, perché e risorto. Dio, in Gesù Cristo, trasfigura la tua vita, scioglie quel nodo, spezza quella catena che ti tiene legato alla morte. “Non è qui”: cercatelo altrove. Dove cercare Gesù? Se non è nella tomba, dov’è? Dov’è Gesù? Dove lo posso cercare? Dove lo posso trovare? “Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro”: interessante questa specificazione, non solo andate a dire ai suoi discepoli, ma anche a Pietro. Pietro aveva rinnegato in modo infame Gesù, Pietro aveva pianto, Pietro ha fatto fatica a credere. “E’ risorto e vi precede in Galilea”: allora dove lo troveremo? In Galilea, nella Galilea. Tu vuoi vedere il Signore, torna all’inizio del Vangelo in Galilea, prendi il capitolo1 del Vangelo di Marco e prova a incontrare il Signore. Se voi notate, nel primo capitolo, innanzitutto al versetto 14, si dice che Gesù predicava il Vangelo. Che cos’è il Vangelo? E’ il Vangelo di Gesù figlio di Dio. Vangelo è Gesù. Non è solamente il libro, è Gesù, la persona di Gesù. Quello che Lui ha detto, quello che Lui ha fatto, ma soprattutto quello che Lui ha rivelato attraverso tutto se stesso. Il volto del Padre. Il cuore del Padre. Dove trovi Gesù? In Galilea. Ritorna all’inizio. Gesù annunzia se stesso? Sì, perché Lui è il Regno che deve venire, è Lui la nostra salvezza. Vuoi incontrarlo? Perché è finito il tempo di attendere. Troppe volte, anche nelle nostre predicazioni, nelle nostre catechesi – ve l’ho già detto – noi facciamo fare tante anticamere, ai ragazzi, ai giovani, alle persone adulte – parliamo di tante cose, e poi alla fine diciamo “e anche Gesù dice questa cosa qui”: no, il Regno di Dio è qui, Gesù è risorto. Non è qui, cercalo altrove. Non cercare una tomba vuota, cercalo nella vita, cercalo nella gioia, cercalo nella speranza, cercalo nell’amicizia, nella famiglia, nell’amore, nella parrocchia, cercalo nella tua consacrazione religiosa, cercalo nel tuo sacerdozio, cercalo dove c’è vita. Perché Egli è il Risorto, Egli è colui che ha vinto la morte. Canteremo nel giorno di Pasqua la bellissima sequenza pasquale, morte e vita si sono combattute in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ora vivo trionfa. Allora Marco è preoccupato per far risorgere noi, perché incontriamo Gesù attraverso la fede nella sua parola. Perché per incontrare Gesù nella vita devi imparare ad avere occhiali buoni, perché altrimenti la paura, altrimenti la solitudine, l’angoscia, la tristezza ti riporterà a cercarlo nel sepolcro, ti riporterà a cercarlo dinnanzi alla porta chiusa dicendo speriamo che ci sia. No, cercalo nella vita. Basta lasciarsi andare. Godi e sii felice. Godi della vita che Dio ti ha dato. Perché Dio si cerca nella terra dei viventi. “Spera nel Signore” – dice il Salmo 26 – “sii forte. Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”. E allora perché disprezzi la tua vita? Perché disprezzi te stesso e gli altri? Ecco la compassione vitale. La risurrezione di Cristo non è solamente un fatto bello per Lui, è un fatto per noi. Perché noi dobbiamo vivere da risorti, perché una volta che Lui è risorto non c’è altra condizione per me che vivere da risorto, e tutto ciò che mi procura morte – dal peccato, a scelte infelici, a idoli e tutto ciò di conseguenza – deve essere combattuto e vinto nella forza di Cristo. Vediamo le reazioni delle donne, perché sono molto interessanti: innanzitutto il giovane dice “Non temete” – e queste sono piene di timore, il giovane dice “Andate a dire” – e queste fuggono, il giovane dice “Annunziate” – e queste tacciono. Allora, hanno paura, fuggono e fanno silenzio: le prime reazioni dinnanzi alla Resurrezione sono la paura invece della fede, la fuga invece della sequela e il silenzio invece dell’annunzio. La Risurrezione sarà che la mia paura diventa fiducia, la Risurrezione sarà che la mia fuga diventa sequela, la Risurrezione sarà che il mio silenzio diventa annunzio. Paura – fede, ecco la conversione. Fuga – sequela, cioè sto dietro di te Signore. Silenzio diventa annunzio. Hanno paura, fuggono e tacciono. Ecco perché il Vangelo finisce qui. Se il Vangelo finisse così, dicendo questa frase “E non dissero niente a nessuno perché erano impaurite”. Il Vangelo finisce così, il Vangelo di Marco. Perché? Perché adesso tocca a te. Riprendi il Vangelo di Marco dall’inizio, ci sono tre letture che tu devi fare di approfondimento: la prima grande lettura del Vangelo di Marco ti fa conoscere il Signore, chi esso è, chi è Gesù – ve l’ho già detto una marea di volte non sto qua a ripeterlo. Un primo livello del vangelo di Marco – che sono gli occhialo per vivere la vita – è conosci il Signore. Ma dopo di che rileggilo il Vangelo di Marco, ed è il secondo livello: capisco che a questa Persona il voglio bene, mi posso non solo fidare e affidare ma io Gli voglio bene. Allora lo leggo con interesse, con amore, capisco quello che il Signore ha fatto per me e che ha dato la vita per me. E ti accorgerai che tutto ciò che Egli ha fatto e ha detto era solamente per me. Ecco allora il terzo livello: conosci il Signore, ama il Signore, incontra il Signore. Questo è il terzo livello: l’incontro del Risorto. E ogni racconto che è fatto è un passo di risurrezione che avviene per me. Potreste leggere ogni racconto, ogni capitolo di Marco con questi tre livelli. Primo livello: chi è il Signore – e vado a cercare chi è il Signore, che risposte mi dà il capitolo 1, il capitolo 2, il capitolo 3 fino al 16. Poi fate la stessa cosa: che cosa ha fatto per me, non solo chi è, che cosa ha fatto per me – quindi il Suo amore per me, cosa dice il capitolo 1, cosa dice il capitolo 2, cosa dice il capitolo 3. E poi il terzo livello: che incontro, a quale risurrezione sono chiamato, per passare dalla paura alla fede, dalla fuga alla sequela, dal silenzio all’annunzio. Quindi sono io l’uomo risorto. Il Vangelo è stato scritto per questo: non solo per dirmi che Lui è risorto – e che già è una grande notizia – ma che io sono risorto con Lui e come Lui. Questa è la consolazione vitale. E’ l’esperienza vitale di Lui, di Cristo Gesù. E divento come Lui, per cui so vivere questa mia vita come Lui l’ha vissuta: da risorto. Non da morto che cammina, non da zombi, non dall’alba dei morti viventi, ma un’alba di risorti. Non di persone che sanno fare tutto, sanno sempre tutto, ma neanche da disgraziati che non sanno neanche di essere al mondo. Da persone risorte, che sanno trasfigurare le ferite della Passione, che come il Signore Gesù risorge con le ferite trafitte così anche loro: le ferite che tu hai dentro, i drammi che ti porti appresso, nella fede al Cristo Gesù possono essere guarite, possono essere trasfigurate, non diventano più condanne, ma diventano passepartout per aprire alla vita. Capite che il Vangelo termina così perché ora tocca a te. A te. Io vi invito seriamente a fare questo esercizio del Vangelo di Marco, perché abbiamo bisogno non solo di tempi di riflessione come gli esercizi spirituali o meditazioni o tanti incontri sulla Parola: abbiamo bisogno di leggerla questa Parola. Prendete allora il Vangelo di Marco – è l’invito che vi faccio questa sera. Prendete il Vangelo di Marco: il Vangelo di marco ha 16 capitoli, bisogna leggerli in questi 3 modi: chi è il Signore, cosa ha fatto per me, a quale risurrezione mi chiama. Prova ogni giorno, da domani, prova a fare così, ti prendi il Vangelo di Marco primo capitolo, te lo leggi, ti prendi 3 colori: primo colore è il colore che dice chi è il Signore; il primo capitolo mi suggerisce questa risposta – sottolineo o cerchio. Che cosa ha fatto per me, qual è il suo amore per me, come me lo ha dimostrato, che mi interessa, è rivolto verso di me in modo benevolo – altro colore. A quale risurrezione mi chiama: ecco, lì vi invito non solo a sottolineare ma a prendere un quadernetto e scrivere con la data “A quale risurrezione mi chiama”: a me chiama a passare da qui a lì, questa è la mia via di conversione. Voi direte “a cosa serve fare tutta questa roba, è faticoso”: ma non è faticoso, è conoscere il Vangelo. E quando tu conosci la Parola di Dio, quando tu conosci la Scrittura, ti specchi in questa Scrittura, la tua vita non è solamente un riflesso del “mi sento bene, mi sento male, sono in crisi, non sono in crisi”: veramente la tua vita può avere un salto di qualità se tu saprai prendere in mano la Scrittura e farla diventare uno alimento continuo. Perché l’invito è quello di fare una confessione che parta dalla Scrittura, che possa andare a dire a don Giovanni “Senti don, io ho letto fino a qui del Vangelo di Marco, ho capito che il Signore mi chiama a fare queste 4 conversioni: su questo punto, questo punto, questo punto e questo punto. I primi 3 riesco bene a organizzarli, non ho capito il quarto. Mi dai una mano? Chiedo perdono perché ho capito che sono pauroso, ho capito che dinnanzi agli altri mi vergogno di essere cristiano, ho capito che preferisco tacere e nascondere per rispetto umano piuttosto che annunziare il Vangelo, la critica verso il Vangelo, verso la Chiesa, i Ministri della Chiesa. Tutte cose che posso dire come miei peccati. Però vorrei approfondire questo tema – don Giovanni – se tu mmi dai una mano: cosa significa passare da qui a qui?”. Capite che la confessione diventa non solamente un elenco di peccati ma diventa un modo per andare alla radice delle mie situazioni, e farle guarire dal Sacramento, ma attraverso la preghiera e attraverso la lettura della Scrittura. Ecco, c’è una guarigione più ampia e radicale. Si mettono dei punti di non ritorno. Ecco perché il desiderio si fa promessa: perché è la promessa di vita. Dobbiamo smetterle di essere dei morti che camminano, dobbiamo avere il coraggio di andare al sepolcro, di svuotare la nostra memoria di morte e di riempirla di vita, Non andiamo a cercare un defunto da ungere ma lasciamoci sorprendere dalla vita, da Colui che si manifesta nella potenza della Sua vittoria, da Colui che è il vittorioso per eccellenza: Cristo Gesù, il quale ti dice “Non è qui, non sono qui, non sono dentro a questo sepolcro, cercami altrove”. Dove ti devo cercare, Signore? Nella tua Parola, innanzitutto. Per fare un’esperienza di fede nuova, per vivere una fraternità nuova, per vivere un perdono nuovo, per vivere finalmente un cammino cristiano che possa essere realmente sale e luce della terra, non semplicemente un fare delle cose cristiane, ma farsi cristianizzare, cristificare oserei dire. Cristificare, diventare come Gesù. Un altro Cristo. Qui finisce il racconto, amici miei. Adesso inizia il racconto, il racconto dentro di te, dentro ciascuno di noi. Qui hai visto questa persona, il Suo amore per te, ti sei confrontato, hai imparato a volerGli bene. Adesso sappi che Lui è il Signora della vita che vuole incontrare te. La paura diventi fiducia, la fuga diventi sequela, il silenzio diventi annunzio. Questo è l’augurio che vi faccio, che faccio a me e a voi. Abbiamo bisogno di vita. e ripartire da risorto è sicuramente un buon inizio. Allora, vi ho dato il compito concreto che è quello della lettura del Vangelo di Marco in questo senso. Certo non si può fare tutto in un giorno – ma Roma non è stata costruita in un giorno. Però se uno ci si mette di impegno, provi, tentar non nuoce. Il peggio che può capitare è che non succede niente, però, capite, almeno proviamoci a cambiare le cose, è inutile star lì a piangere perché le cose della mia vita non cambiano mai, aspettando un intervento magico della propria esistenza. Incomincia a prendere in mano realmente la Scrittura e incomincia a farti plasmare da essa. E poi vi suggerisco di preparare con questo sistema la confessione di Pasqua. Voi direte “ma c’è solo una settimana”: e beh, in una settimana avete già letto 5 capitoli. Non si può fare tutto in un colpo, però preparate realmente bene la confessione: non solo perché è Pasqua, non solo perché bisogna farla ma per dare un punto di non ritorno. E’ necessario. Abbiamo bisogno di cristiani che sappiano porre un punto fermo: Cristo Gesù. Non altro. Abbiamo bisogno di catechisti che sappiano non solo preparare in modo creativo le lezioni ma che sappiano annunziare il Vangelo a questi ragazzi senza girarci costantemente intorno. Perché noi avremo anche dei bravi ragazzi che giocano a calcio ma a noi interessa l’anima di questi ragazzi, noi dobbiamo aiutarli a diventare buoni cristiani, soprattutto buoni cristiani. Certo, sicuramente la formazione umana non può essere discinta dalla formazione cristiana perché la persona è una sola, ma attenzione a non fare il doppio ordine: prima l’umano e poi il soprannaturale, no, insieme. Solo Cristo può dare unità. Abbiamo già dei genitori che hanno questo coraggio, dei nonni che hanno questo coraggio, di religiosi che hanno questo coraggio, ma, vi ripeto, nessuno dà ciò che non ha. Per cui incominciamo ad avere esperienza della Parola di Dio. Il Vangelo di Marco è veramente adattissimo a fare questo. Se farete questo, voi giungerete a metà aprile potremmo dire quasi all’Ascensione – sono 40 giorni dopo la Pasqua, qui diciamo che siamo già avanti nella Pasqua, una Pasqua inoltrata, però vi aiuterà a vivere meglio perché conoscerete meglio il Signore, saprete amarLo di più realmente, la vostra preghiera ne prenderà beneficio perché finalmente non avrete un Dio anonimo ma avrete un volto e una storia e soprattutto imparerete a convertire quegli aspetti della vostra vita che necessitano uno scioglimento. Il Signore ci aiuti a mettere un po’ in atto queste piccole cose. Io non so se vi ho complicato la vita o vi sto dando qualche suggerimento utile. Termino con questa battuta: guardate che noi non potremo fare tutto nella vita ma possiamo fare molto, perché il Signore si affida a noi, si fida di noi, ci vuol bene. Ci vuole veramente bene. Ma non in modo generico: ha creato ciascuno di noi come un gran bel dono, e ciascuno di voi è una perla preziosa. Voi nelle vostre comunità non potete essere assenti perché se mancate voi, il mosaico del Signore viene meno. Abbiamo bisogno di cristiani che siano presenti, che sappiano mettere in gioco se stessi, non partendo da un proprio protagonismo ma partendo dalla propria intimità con il Signore. E allora sì, che il territorio di Carmagnola sarà veramente evangelizzato. Finiamo insieme dicendo e proclamando: Padre nostro…