Conversazioni lungo la strada
Piccolo itinerario sui testi pasquali degli Atti degli Apostoli con padre Davide Traina o.p.
Primo passo
Atti 2,1-13
Vi sottolineo solamente tre idee, prendete proprio il testo in mano.
Primo versetto: “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire”.
Questo inizio è completamente diverso rispetto agli altri: gli Atti degli Apostoli inizia con il compimento, non inizia con un qualcosa da costruire per arrivare al compimento, no, inizia dal compimento, si sviluppa nel compimento e approfondisce il compimento. Qual è il compimento? Cristo Gesù. Ed è legato alla vicenda della missione salvifica del Signore. Già in Luca tutto il percorso di Gesù è un arrivare a Gerusalemme, dove morirà e risorgerà. In tutto il libro degli Atti è la partenza da Gerusalemme verso il mondo conosciuto. Quindi è intrecciato il cammino. E questo “mentre il giorno di Pentecoste stava per finire” rieccheggia nella mente e nel cuore quella volontà del Signore “mentre si avvicinava a Gerusalemme”, per compiere la sua missione. Il tempo di Dio non è mai un tempo parziale, il tempo di Dio è sempre un tempo di compimento. E come si apre il compimento? “Mentre il tempo di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”: l’unità. Come si apre gli Atti degli Apostoli verso coloro che lo stanno leggendo? Con l’unità: c’è un luogo che ci raduna tutti, e tutti insieme ci ritroviamo non solo ad abitare uno stesso luogo, ma a fare la stessa esperienza. E qual è l’esperienza? Un’attesa, l’attesa di qualcosa che deve avvenire. Gesù è risorto, è asceso, è salito al Padre, ha detto ai suoi Apostoli di attendere l’effusione dello Spirito. Giuda è stato sostituito da Mattia, il numero dei 12 è stato ricomposto, l’unità è stata ricomposta, non è più infranta, Maria attende con gli Apostoli e i discepoli lì radunati. E allora, poiché Dio non è mai un dio superficiale, ma è il Dio della profondità, ecco che all’improvviso, dal cielo, Dio mantiene la Sua promessa: “un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro”. Lo Spirito Santo giunge, e giunge con due segni e un elemento, e ha una ricaduta personale e comunitaria. I due segni sono uno auditivo (il rombo) e un altro visivo (le lingue di fuoco). Perché deve partire dall’orecchio? Vi ricordate come inizia il Decalogo? “Ascolta Israele”. Vi ricordate come inizia il libro dell’Esodo? “Il Signore ascoltò il grido degli Israeliti”. All’interno della nostra attuale confusione, all’interno della confusione dell’uomo segnata dalla divisione del peccato e della morte, segnata dalla fragilità della paura, dall’angoscia della tristezza, Dio irrompe facendo silenzio. E’ come quando ci sono più persone che parlano insieme e ad un certo momento colui che dirige la questione deve far tacere la confusione, cosa deve fare? Deve alzare la voce e imporsi. Ecco ci vuole una terapia d’urto. Il rombo che si abbatte gagliardo, il vento di Dio è la terapia d’urto. Ora fate silenzio, basta. Partire dall’ascolto, imparare ad ascoltare, lasciarsi sorprendere dal richiamo di Dio. E poi visivo: Dio coglie la nostra attenzione, Dio vuole cogliere la nostra attenzione e lo fa attraverso queste lingue di fuoco, perché tutti noi dobbiamo avere una parola infuocata; se vogliamo crescere nella grazia di Dio, nella vita di Dio, bisogna nascere con potenza dallo Spirito. Non è un atto magico, non è un atto di esaltazione emotiva, è una grazia, una presenza del Signore. La tua parola che segna, che dice quello che tu sei, la condivisione della tua storia, della tua cultura, di tutto quanto, deve avere una parola diversa, non può più usare parole di paura, di angoscia, di tristezza, di accusa, di maledizione. Una parola di fuoco. E qual è l’effetto? Continua il testo, versetto 4: “Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo” – questo è l’effetto personale, l’effetto personale è che tutti sono ripieni dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo scende da chiunque si lascia disponibile, lo Spirito Santo non è uno che si fa pregare, semplicemente non vuole ostacoli dinnanzi a sé. Com’è la nostra opera di conversione? La nostra opera di conversione è eliminare ogni ostacolo. E allora lo Spirito Santo scende. Pensate a Maria: Maria era talmente disponibile, talmente umile, talmente aperta, talmente potremmo dire vuota di se stessa, da essere ripiena, strabordante della grazia di Dio. Ma l’effetto personale dello Spirito Santo permette l’effetto comunitario. “Cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”: la grazia dello Spirito Santo non solo ti fa vivere quello comunemente che è chiamato il dono delle lingue, ma ti lascia la possibilità di annunziare il Vangelo e di condividerne l’esperienza di vita, dire che Gesù è vivo, è vero, è veramente risorto con il suo vero corpo, è qui in mezzo a noi ora, ma farlo affinchè tutti lo possano comprendere. Il miracolo di Pentecoste è quello di farsi capire. Guardate che è la vera guarigione di cui noi abbiamo bisogno: quante volte ci diciamo fra di noi “non ci capiamo”, “non ci capiamo più, non ci parliamo più”, ogni volta che parliamo è una lotta, una guerra, una discussione continua. Vi ricordate Babele? Babele è la tentazione descritta nel libro della Genesi dell’uomo di accapparrarsi con una violenza immensa anche il potere di Dio. La costruzione della torre dalla base che tocchi il cielo. E qual è la conseguenza? Colui che vive di sopraffazione, colui che vuole vivere di dominio, alla fin fine vede l’altro come un suo concorrente, vede l’altro come qualcuno che vuole portargli via qualcosa, e allora è la divisione, “non ci capiamo più”, lingue e popoli diversi. Qui, nel miracolo delle lingue, c’è la riunificazione, qui nel miracolo delle lingue c’è l’unità nell’ordinamento della distinzione, perché l’unità dello Spirito Santo non è mai un piallare nella neutralità qualsiasi cosa, no, è mettere nell’unità, nella distinzione perché siamo diversi, e l’essere diversi è una ricchezza, ma nell’ordinamento: la nostra diversità non deve portarci ad essere sopraffattori sugli altri, non deve portarci a fagocitare con violenza l’altro, ma a servire l’altro, ciascuno con i proprio doni e i propri carismi, perché il potere di esprimersi glielo dà lo Spirito Santo, non è una capacità degli Apostoli. E allora qui ti puoi fare già una domanda: che ruolo ha lo Spirito Santo nella tua preghiera? Preghi lo Spirito Santo? Chi è lo Spirito Santo per te? La tua preghiera è animata dallo Spirito, viene invocato? Quando devi prendere delle decisioni, un discernimento, lo invochi lo Spirito? Quando dobbiamo programmare l’attività catechistica, di animazione, di evangelizzazione della parrocchia e della comunità, lo Spirito Santo è qualcosa che si aggiunge al già fatto o è il DNA con cui costruiamo la nostra comunità? Tutto deve nascere dalla preghiera, nella preghiera, e concludersi con la preghiera. E lo Spirito Santo è l’anima della preghiera. Le nostre attività apostoliche avranno successo se c’è lo Spirito Santo, la tua preghiera sarà potente se c’è lo Spirito Santo. Ma andiamo avanti. Dinnanzi a questo fenomeno c’è l’attenzione di tanti che si avvicinano, e qui vengono nominati praticamente tutti i popoli conosciuti all’epoca, ed è interessante perché la comunità rinnovata dalla grazia dell’unità, dalla grazia dell’unità nella fede e nella carità, attira. La vera attrazione della comunità è nel celebrare la propria fede, nel professarla con verità, nel celebrarla con serietà, nel viverla con onestà, nel pregarla con generosità, e tutto questo si vede nella carità, nella fraternità, nell’accoglienza. Fede e carità aprono la dimensione della speranza. Questo diventa un polo di attrazione enorme, per tutti, soprattutto per coloro che sono lontani, che riconoscono l’umanità per quando fragile e peccatrice ma rinnovata, un’umanità pulita, un’umanità nuova, diversa, li attira. E guardate, se nel versetto 4° lo Spirito dava loro il potere di esprimersi come Lui vuole, nel versetto 8° si dice che sono gli uditori che rimangono stupiti nel sentire nella propria lingua nativa cose prodigiose; se cambiano le diverse lingue, se cambiano le diverse modalità, una cosa rimane: li udiamo annunziare nelle nostre lingue – che cosa?- le grandi opere di Dio. Che cosa annunzia la tua vita? Qual è l’opera di Dio che tu annunzi? Che cosa ha fatto Dio per te? Che cosa tu puoi spezzettare ai fratelli? Noi non dobbiamo parlare semplicemente di Gesù, noi non dobbiamo semplicemente parlare su Gesù o sulla dottrina di Gesù, noi dobbiamo innanzitutto condividere un’esperienza vitale, Gesù vivo, Gesù realmente vivo. Vi ricordate Maria? Io la cito tantissimo la Madonna, perché la Madonna non solo va pregata, la Madonna va imitata. La Madonna rilegge tutta la sua vita attraverso quell’evento meraviglioso dell’Annunciazione della maternità. Ma tu sei capace di fare questo? Prova a leggere la tua vita. Certo ci saranno state tante cose sbagliate, tante cose che non vanno, tante scelte che non funzionano, ma ci saranno stati gli incontri belli, le persone belle che hai incontrato, parole buone che hai ricevuto, parole buone che hai donato, azioni belle e buone che hai fatto, scelte positive, di generosità, di carità, di pur amor di Dio. Ti sei preso cura di qualcuno, hai amato profondamente qualcuno? Ecco, quali sono le opere grandi che tu puoi annunziare? Puoi dire di avere incontrato Dio nella tua vita? Sì, nella tua piccola esperienza. E allora la tua creatività apostolica sarà una modalità per annunziare, perché se è vero per te che Dio ti è Padre e ti ama, e tu sei il figlio amato e perdonato, vale anche per altri, altri che non hanno mai sentito queste cose, ma che devono vedere che tu non stia raccontando una frottola, che tu non stia raccontando semplicemente un’idea, ma che tu stia condividendo una vita, che questo Gesù è realmente esistito, che questo Gesù realmente ci mostra il volto amorevole del Padre, che questo Gesù è la misericordia del Padre fatta carne. Per tre volte si dice che “tutti rimasero stupiti, perplessi, fuori di sé dallo stupore”: sì, l’annuncio del Vangelo apre alla novità di Dio. E allora la creatività, la creatività non è fantasia, la creatività è genialità, è cercare di parlare la lingua del cuore oltre che della mente. Le azioni pastorali che noi facciamo devono partire da una riflessione intellettuale che abbia un senso, ma devono partire soprattutto da un cuore che pulsa, da un cuore che ama. Devi prenderti cura di coloro ai quali tu vuoi annunciare il Vangelo, perché è un atto di vita, un atto di fede. E allora ti puoi domandare: ma il mio essere padre, il mio essere madre, il mio essere figlio, figlia, il mio essere religioso, religiosa, pastore, sacerdote, il mio essere laico, impegnato, parte dal prendermi cura di coloro dai quali sono mandato? Gli uffici che ho, li vivo semplicemente come un trampolino di dominio, oppure un qualcosa di organizzativo, o è una missione? Perché la Pentecoste, amici miei, apre alla missione profetica della Chiesa. Una missione profetica, non solo missione; missione significa “andare, andare fuori”, andare a prendere quelli che non ci frequentano, non vengono da noi”. Ma la domanda non è “perché loro stanno fuori?”, la domanda è “perché noi ci siamo allontanati?”. Noi non ci possiamo metterci a tavola e mangiare l’Eucarestia e non sentire il profondo dolore per l’assenza dei nostri fratelli, non possiamo non sentire il profondo dolore del fatto che tanti nostri fratelli non conoscono Gesù o hanno avuto l’esperienza bruttissima con la fede cristiana. Noi dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo annunziare la bellezza della fraternità, nonostante i limiti, la fragilità, ma è proprio in tutto questo che si manifesta la misericordia di Dio, perché noi siamo fratelli amati da Dio e amanti capaci di perdono fra di noi. Nessuno di noi è un santo che cammina, noi siamo dei peccatori perdonati, e qualcuno un pagano sulla via della conversione. E allora chiediamo questa grazia, di una missione profetica. Qual è la profezia della mia vita? Non significa guardare il futuro e interpretare gli astri, significa cogliere la presenza di Dio nella mia vita. Che cosa mi sta chiedendo ora nella mia vita Gesù? Che cosa mi stai chiedendo Signore? Cosa devo fare per Te? Cosa vuoi che io faccia per Te? Il Signore ci aiuti a mettere in chiaro tutto questo. Non è una decisione solo intellettuale, non è solamente un modo della volontà, è tutto insieme: testa, cuore, volontà, memoria, sentimenti, storia, tutto ciò che io sono. Invochiamo lo Spirito Santo con grande fiducia, invocatelo, semplicemente con la decina del Santo Rosario, e allora vedrete che il Signore vi risponderà.
Padre nostro…
Secondo passo
Atti 2, 14 – 41
Quello che noi stiamo facendo adesso, al di là di quello che io posso dire in modo abbastanza breve, se volete quasi semplice e banale, in realtà è un appuntamento importante perché ci aiuta a riflettere su una realtà fondamentale della nostra vita, che è essere discepoli del Signore. Tanti possono essere i maestri, tanti possono essere i riferimenti, ma uno solo è colui che va seguito, uno solo è colui che va amato, uno solo è colui al quale possiamo donare la nostra vita: Cristo Gesù.
Vogliamo affrontare oggi un’omelia, la prima omelia di Pietro. Negli Atti degli Apostoli due sono i protagonisti che dividono il libro: Pietro e Paolo. Sei sono i discorsi missionari che vengono citati: tre di Pietro, tre di Paolo. Questi discorsi, queste omelie, sono importanti perché ci permettono di capire il nucleo dell’annunzio. Spesso noi abbiamo sentito: “bisogna annunziare il Vangelo”, va bene, dunque qual è la buona notizia? Qual è il messaggio centrale del Vangelo? Certo, la persona di Gesù, e va bene. Cosa hanno detto gli Apostoli al riguardo? Allora la lettura degli Atti ci aiuta a fare questo percorso.
Versetto 1-13 racconta l’evento della Pentecoste. Ora, dopo la Pentecoste (questo evento fenomenale, epifanico, che ha dato l’occasione di radunarsi dinnanzi alla piazza di Gerusalemme a molte persone), tutti stanno ad ascoltare, vedono, cercano di capire, qualcuno prende in giro gli Apostoli dicendo “ma questi qua sono ubriachi, pazzi”.
Leggiamo il testo (Atti 2,14-41). (Una buona abitudine sarebbe quella di baciare il Vangelo dopo averlo letto, è un segno di venerazione, lo fa il sacerdote dopo la lettura sussurrando quella frase “la Parola del Vangelo cancelli i miei peccati”, perché la Parola di Dio non è solamente un’indicazione etica, morale, la Parola di Dio è performante, cioè capace di porre un punto di non ritorno nella propria vita, è veramente una spada che scende fino al midollo e che riesce a fare verità in te. Ora, cosa farò io? Semplicemente una lettura del brano in maniera semplice, molto concreta, in modo tale che tutti noi possiamo seguire il testo. Innanzi tutto il primato della Parola: “Pietro, levatosi in piedi con gli altri undici, parlò a voce alta”; dobbiamo vedere queste tre cose. Innanzi tutto vediamo Pietro: colui che era timoroso, Pietro è lo stesso che qualche tempo prima aveva detto al Signore “se tutti ti rinnegheranno io no”, e poi pianse amaramente quando giurò, spergiurò, quasi bestemmiò per dire “non lo conosco”, Pietro era quello che era tornato a pescare quando non sapeva più che cosa fare, quando smarrito per l’assenza del Signore e per il suo tradimento (tradimento come mai infame nella storia), Pietro colse che ha amareggiato quel Dio che lui amava. E cosa fa? Torna a pescare, torna a fare quello che faceva prima, e su quella riva Pietro trova di nuovo la sua vocazione confermata: “Pietro, mi ami?” “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene”. E allora Pietro in questo caso, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, lascia la codardia, lascia la viltà e si erge come il portavoce, e potremmo dire colui che fa unità, del gruppo degli undici. Ecco, Pietro parla a nome del collegio apostolico, e la sua parola è una parola di verità, non è una parola che vuole giustificare quello che è successo, ma coglie l’occasione di ciò che è successo per annunziare, non ha più paura di dire “sì, sono di Gesù, sono di quelli che è stato con Gesù, no, non ha più paura, lo Spirito Santo lo ha trasformato. Pietro si alza in piedi. Quando vieni toccato dalla grazia di Cristo, quando vieni toccato dalla grazia dello Spirito Santo, fai verità nella tua vita, e la verità nella tua vita non è qualcosa che ti schiaccia, che ti mette prono, ma ti alza in piedi, ti fa stare retto: l’atteggiamento tipico del Risorto. Ecco perché spesso in chiesa preghiamo in piedi, stiamo in piedi non per far ginnastica, ma perché è l’atteggiamento di colui che dice “sì, io posso stare fermo, saldo sulle mie gambe perché le mie gambe si appoggiano su una certezza: Cristo è risorto dai morti. Pietro si alza e a nome degli undici, a voce alta. In realtà il termine greco non si rifà al tono della voce, Pietro non è un isterico, non si mette a gridare come un pazzo, non fa la scimmia urlatrice. Tanti nella nostra società attuale vivono urlando, ma l’uomo piccolo urla, l’uomo grande non ha bisogno perché si impone da sé. Ecco, non basta gridare, urlare, fare cose strane per attirare l’attenzione. Pietro si impone con la sua presenza, e con voce sapiente (il termine greco dice sapienza), cioè con un parlare garbato ma carismatico (tant’è che l’effetto sarà trafiggere il cuore) annunzia, annunzia che cosa sta avvenendo; confuta innanzitutto coloro che vorrebbero screditare la presenza degli undici, dice “non sono ubriachi”. Ecco, lo Spirito Santo dà il coraggio di difendere la dignità di colui che viene mandato ad annunziare il Vangelo. Qui per esempio potremmo già domandarci: quante volte io parlo male dei preti, dei religiosi, dei vescovi, del Papa? Certo, in questo clima di confusione a volte troviamo anche qualche ecclesiastico che pieno di creatività cerca di fare il simpatico e pensa che questo modo attiri di più, invece si rende solo ridicolo, però un conto è la responsabilità personale, un conto è il giudizio infamante verso qualcuno. Bisogna fare attenzione, Papa Francesco ce lo ricorda: “attenzione al chiacchiericcio”, il chiacchiericcio è velenoso. Pietro dice “non sono ubriachi”, bensì essi realizzano la profezia di Gioele. Ecco, Pietro annunzia quello che sarà un ritornello di tutto il Nuovo Testamento: l’Antico Testamento viene letto con gli avvenimenti e la buona notizia del Vangelo, il Vangelo è realizzazione della promessa dell’Antico Testamento, Gioele aveva detto “effonderò il mio Spirito su figli e figlie, giovani e vecchi, su tutti, tutti conosceranno il Signore”. Questo è un primo dato interessante che apre all’universalità della missione degli Atti degli Apostoli: non sono solamente gli Israeliti, il pio Ebreo, a ricevere la grazia del Signore, ma tutti coloro che vorranno ascoltare, tutti coloro ai quali il Signore vorrà dare il suo Spirito. E lo vedremo, nel passaggio, come tanti pagani riceveranno lo Spirito Santo come gli Apostoli, senza neanche essere battezzati. Ecco, Pietro parte dicendo “innanzi tutto noi realizziamo una profezia di Gioele: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”, e vedremo come, appena dopo, questo “nome del Signore” Pietro lo farà coincidere con “Gesù”. Ed ecco la seconda parte dell’annunzio dell’omelia di Pietro (siamo al versetto 22): “Uomini di Israele, ascoltate queste parole” – ecco l’annunzio – “Gesù di Nazaret” – il protagonista è Gesù di Nazaret, non dice “noi siamo testimoni di”, no, la buona notizia non ha bisogno di camere di attesa; troppe volte noi (a volte anche quelli più giovani) facciamo un po’ questo errore metodologico, parliamo di tante cose, parliamo dell’amicizia, parliamo di come è bello il mondo per poi giungere alla fine dicendo “guarda, tutto sommato c’è anche Gesù Cristo”: questo depotenzia l’annunzio. Cristo e solo Cristo va annunziato, e Lui deve diventare il baricentro attorno al quale leggere l’amicizia, la bellezza, la creazione, la vita. Gesù di Nazaret, non un dio astratto, non un dio anonimo, ma un Dio che ha una storia: Gesù di Nazaret. E Pietro si preoccupa innanzitutto (poiché la morte in croce è Gesù, era infamante agli occhi sia degli Ebrei che dei Pagani) di dire – attenti: “Gesù di Nazaret nella sua vita ha sempre avuto dalla sua parte Dio, Dio ha accreditato Gesù per voi”, cioè Dio è sempre stato dalla parte di Gesù Cristo. E perché è sempre stato dalla parte di Gesù Cristo? Perché Lui è quel figlio amato, è quel figlio riconosciuto nel Battesimo, sul monte Tabor, è quel figlio glorificato sulla Croce. Gesù non è solamente un semplice profeta ma Gesù diventa la chiave per leggere il mistero di Dio, “e Dio stesso vuole farsi conoscere” – dice Pietro – “attraverso Gesù”. E come l’ha accreditato? L’ha accreditato attraverso i miracoli. Gesù, la sua vita stessa, parla di Dio, parla del suo amore, della sua cura, della sua protezione, della sua liberazione, del suo modo di guarire. I miracoli sono conferma del fatto che Dio agisce attraverso di Lui. Ma non solo: questo Gesù è secondo il disegno prestabilito, è la prescienza di Dio, cioè Dio aveva previsto che Cristo dovesse morire. E perché? Perché ha dovuto abitare quello spazio che tutti noi abbiamo come nostra prigione: la morte, la solitudine, l’abbandono, l’angoscia, la paura. Cristo Gesù ha dovuto abitare tutto questo, la profondità dell’abisso del male, e l’ha abitato con forza, con potenza. La morte e la vita si sono combattute in un meraviglioso duello. Il Signore della vita era morto, ora vivo trionfa. Per Pietro, nel primo annunzio, la resurrezione e la glorificazione sono un tutt’uno. Dice: “Questo Gesù voi l’avete inchiodato alla croce per mano degli empi”. Non bisogna far finta che la croce sia uno dei tanti passaggi della vita di Gesù, no; nella predicazione bisogna dirlo: noi annunziamo Cristo, e Cristo crocifisso, perché solo il cristo crocifisso ti fa vedere quanto tu sei importante agli occhi di Dio. Quanto vale la tua vita? Vale tanto quanto quella del Figlio di Dio, che è morto per te, che ha dato il suo sangue per te. La tua vita, il peccato che ti ha reso schiavo non è una sciocchezza: Gesù Cristo non ci ha salvato da un raffreddore, ci ha salvato da un male che solo la morte del Figlio di Dio poteva redimere, da soli non potevamo uscire da quella prigione, Lui solo ha potuto rompere quelle catene che ci tenevano legati. Ed ecco che Pietro, al versetto 29 dice: “Mi sia lecito dirvi francamente” – cioè senza mezze parole – “riguardo al patriarca Davide, che egli fu sepolto e la sua tomba è ancora fra di noi”: io cito Davide – dice Pietro – lo cito nei Salmi (ne cita tre di Salmi, Pietro) per dire come Gesù, la sua vita, è conferma della parola annunziata dai profeti. Però quei grandi del passato sono morti, la loro tomba la possiamo ancora vedere, invece Gesù è stato raggiunto dalla vita di Dio. Cristo Gesù ha vissuto pienamente la profezia del Salmi, ma perché Egli è riuscito a vincere, ed ecco la Risurrezione che viene annunziata. “Questo Gesù” – che è morto in croce abbandonato in mano degli empi e condannato in modo infame – “Dio l’ha risuscitato, e noi tutti ne siamo testimoni”. Sei testimone della Risurrezione di Cristo? Sei testimone della vita? Sei testimone che il peccato è stato perdonato? Sei testimone dell’abbraccio di Dio? Sei testimone di tutto questo?. “Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che aveva promesso, lo ha effuso su tutti noi come potete vedere”. Noi siamo testimoni – dice Pietro – della Risurrezione di Cristo perché noi partecipiamo della stessa potenza che Cristo ha avuto, e questa potenza è lo Spirito Santo. E attenzione, ecco allora che cosa dice: “Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Due termini usa Pietro: Signore e Cristo: Signore dice la divinità, e Cristo dice la sua missione. E’ come quello che noi diciamo nel Credo: vero Dio e vero uomo. Dio ha costituito Gesù vero Dio e vero uomo. Ed era necessario questo passaggio dell’omelia di Pietro: non solo per raccontare cosa è avvenuto nella storia di Gesù, ma soprattutto per dire “ecco, nonostante tutto quello che è capitato a Gesù, Dio non si è manifestato unicamente nei miracoli, ma nella vita stessa di Cristo, il quale ha vinto la morte perché è risuscitato. Egli è Signore, cioè egli è Dio; è quello che successivamente nelle varie lettere, verrà sintetizzato. Ogni qual volta ci sarà la parola Signore tradurrà l’ebraico Jahvè con la parola Kyrios cioè appunto Signore. E’ Cristo, cioè l’Unto, il Messia, colui che realizza le promesse. Gesù Cristo è uno di parola. E tutto questo trafigge il cuore. E qui potremmo fare tutto un capitolo ma non abbiamo il tempo: perché le nostre prediche, le nostre omelie non trafiggono il cuore? Perché con le nostre parole, di noi predicatori, non riusciamo a riprendere l’animo della nostra gente? Che cosa viene a mancare? La preparazione? Non credo. La capacità oratoria? Forse. Ma non è quello. E’ lo Spirito Santo. Bisogna che il nostro predicare nasca dalla contemplazione, nasca dalla preghiera. Che cosa dobbiamo fare? Pentitevi, riceverete il Battesimo nel nome di Gesù, riceverete lo Spirito Santo. Pentitevi: cioè cambiate mentalità, non dovete più avere una mentalità mondana, non potete più pensare alle cose come prima. Una volta che tu hai conosciuto che Dio ti ha amato talmente tanto da dare il suo Figlio per te e che tu sei perdonato, sei figlio amato, perdonato, uomo libero e vero, non puoi più vivere da schiavo. Fatti battezzare, non nel nome generico di Dio, non semplicemente un Battesimo che fu un segno penitenziale come quello di Giovanni battista, ma nella Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, cioè entra intimamente nell’amore del Signore, vivi con Lui la sua Passione e la sua Risurrezione, esci, creatura nuova. E’ la promessa, non solo agli ebrei che ascoltavano ma a tutti coloro che riceveranno questo messaggio (la Parola): riceverete lo Spirito Santo. Cioè, attraverso lo Spirito Santo potete gridare Abbà, Padre. La salvezza non è un dono esclusivo, ma inclusivo, tutti siamo chiamati alla salvezza, se tutti apriamo il nostro cuore a Gesù. “E allora si aggregarono a loro tremila persone”: numericamente esatto? Pietro li avrà contati? Non credo. Quello che conta è che lo Spirito Santo chiama, attira, e attraverso la predicazione di Pietro ottiene la prima comunità cristiana, e vedremo nei capitoli seguenti come la comunità cristiana si erge sulla testimonianza sulla testimonianza degli Apostoli, sulla parola di Dio, sulla grazia dello Spirito Santo. Vedremo come la comunità cristiana crescerà nella celebrazione del “fate questo in memoria di me” e ne vivere costantemente la presenza del Signore. Da questa prima omelia di Pietro vorrei che ricordassimo questo aspetto: certamente Cristo è Signore, Gesù è il nostro unico Signore, vero Dio e vero uomo, e in Lui solo c’è salvezza, la nostra fede deve ruotare attorno a Lui. E la grazia dello Spirito Santo ci dà la possibilità di testimoniare questo. E allora ogni qualvolta ci avviciniamo a qualcuno non dobbiamo avere vergogna di presentarci come cristiani. La cosa più bella che possiamo dire di noi stessi, la qualità più bella che noi possiamo raccontare è che siamo cristiani. Cosa significa essere cristiani? Figli amati e perdonati, uomini liberi, uomini che tendono alla giustizia, uomini e donne che cercano di portare speranza, perché la morte è vita.
Padre nostro…
Terzo passo
Atti 2, 42-49: La prima comunità
Un testo meraviglioso, veramente affascinante. Questi tre brani che noi ascolteremo (gli Atti capitolo 2 dal versetto 42 al 48, il capitolo 4 versetto 32-35, e capitolo 5 versetto 12-16) sono tre sguardi di insieme, tre sommari, cioè tre modi in cui viene fotografata la comunità cristiana in alcuni suoi aspetti, e che deve essere ancora per noi oggi strumento di riflessione e di incoraggiamento per creare quella comunità cristiana che è affascinante perché vive di Cristo, testimonia Cristo, glorifica Cristo. Quanto mai in questo contesto di distanziamento sociale sia importante ricostruire la comunità cristiana in tutti i suoi elementi, non solo quello liturgico, non solo quello sacramentale, che ovviamente ha il suo perno e il baricentro nella confessione della fede della comunità, ma non è l’unico. Perché fate attenzione: se l’unica appartenenza alla comunità cristiana è dettata semplicemente dalla possibilità all’accesso ai sacramenti, allora coloro che non possono accedere ai sacramenti non hanno posto nella comunità. Ma questo è un errore, perché vedremo come ovviamente l’accesso ai sacramenti è la via ordinaria e potremmo dire fondante della confessione della fede in Cristo Gesù ma questa stessa confessione, questa stessa glorificazione di Cristo Gesù nella comunità è declinata anche in altre dimensioni, non meno importanti. E allora vediamo: questo primo sommario è il più denso dei tre, e inizia senza un esplicito soggetto (“erano”), ma certamente i protagonisti dell’azione sono coloro che avevano accolto la Parola, sono stati battezzati e aggregati nella comunità. Se leggete, il versetto 41 (il versetto precedente a quello che ho letto io) dice: “Coloro che accolsero la sua parola furono battezzati”; la parola di chi? Di Pietro, cioè il riferimento è: quella predica che Pietro fece dinnanzi ai pagani che si erano radunati per vedere questo fenomeno della Pentecoste che era successa. Ecco, coloro che avevano accolto (non solo ascoltato ma accolto) cioè avevano preso sul serio la possibilità che questi uomini parlassero in nome di Dio, furono battezzati e si sono riuniti a quel gruppetto tremila persone. Allora, quegli stessi che hanno ricevuto, sono i protagonisti. Essi sono chiamati successivamente i credenti (il versetto 44 dice: “tutti coloro che erano diventati credenti”). Noi siamo i credenti. Vedete, nella vita, in questo nostro tempo, è possibile, è plausibile anche vivere senza Dio. E uno potrebbe dire: “E’ assurdo”. Per un credente. Ma per coloro che non si pongono neanche il problema e vivono non nella ricerca di un senso, semplicemente in uno stato non interrogativo, siamo noi credenti a dover testimoniare perché uno dovrebbe credere. Non è data scontata la fede, non è dato scontato l’essere comunità. Perché dovrei essere credente e non agnostico, non ateo? Perché Dio e non il nulla? Me la pose un giovane questa domanda: “Perché Dio non è nulla?” Interessante. Ebbene, questi uomini si riuniscono insieme, ed erano senza legami (senza legami affettivi, parentali); ma cos’è che li univa? La fede, l’ascolto della Parola. “Erano assidui” (ecco i quattro elementi della costruzione della comunità): assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli (quello che in una parola veniva professata la didachè, l’insegnamento, la dottrina), nell’unione fraterna (quella che viene tradotta in greco come koinonìa, cioè come costruzione della comunità), nella frazione del pane (e dell’Eucarestia) e nelle preghiere. Insegnamento, fraternità, frazione del pane, preghiera. Ecco, noi vedremo un attimo questi elementi, poi vediamo cosa si aggiunge. Innanzitutto l’insegnamento: cosa succedeva nella comunità cristiana? Fondamentalmente quello che dovrebbe succedere ancora a noi oggi, cioè l’approfondimento del senso delle Scritture e imparare a leggerle in prospettiva cristiana. La scrittura ci parla di Cristo, ci parla dell’avvenimento di Dio, è la Parola di Dio, Dio si rivela nella Scrittura, dice a noi ciò che Egli è, ci mostra il suo cuore. Per dire a una persona “ti voglio bene”, che per me è importante, in qualche modo devo farglielo vedere: o gli scrivo un biglietto, o gli scrivo un mazzo di fiori, gli canto una serenata sotto il balcone, in qualche modo devo farglielo vedere, devo dire quello che ho nel cuore, devo esternare il mio desiderio. Ecco, questo Dio l’ha fatto, l’ha fatto nella sua Parola e in modo particolare nella sua Parola fatta carne che è Cristo Gesù. Il cuore di Cristo è la manifestazione del cuore stesso di Dio, nella sua carne e nella Parola. Il punto di partenza della Chiesa è l’ascolto della Parola, e questo possono farlo tutti, anche coloro per cui, per circostanze che non stiamo qui a specificare, non è possibile l’accesso ai sacramenti; ecco perché l’appartenenza alla comunità cristiana non è esclusiva, sacramentalmente, ma inclusiva. Per cui non faccio un percorso a parte ma è possibile partecipare ad esempio alla riunione della comunità domenicale senza poter accedere ai sacramenti ma ascoltando la Parola. Ci sono gli incontri di lectio divina, ci sono le catechesi, c’è la lettura, la direzione spirituale: la Parola di Dio è l’inizio della Chiesa. Perché è necessario? Perché ho bisogno di conoscere Gesù Cristo, di crescere nel suo amore. Poi la seconda perseveranza (la prima perseveranza è appunto l’insegnamento degli Apostoli, quindi la rilettura della Parola di Dio in chiave cristiana: cosa dice a me, qual è il mistero, qual è il grande desiderio d’amore del cuore di Dio): la comunione fraterna, cioè la comunione, il legame profondo tra i credenti che condividono la stessa fede, la stessa vita e di conseguenza si prendono cura l’uno dell’altro, ecco la condivisione dei beni. Attenzione, la comunità cristiana non ha creato un socialismo cristiano, non ha creato un’utopia comunista ante litteram, ma fa qualcosa di più reale e più concreto: si prende cura. La condivisione dei beni faceva sì che concretamente è come se io ti dicessi “Guarda, non temere, ci sono io, su di me puoi contare, sono affidabile, non sei da solo, non sarai lasciato da solo, non sei messo da parte perché non puoi; perché la comunità ti è attorno”. Qui nasce la solidarietà cristiana, qui nasce l’impegno per i più poveri. Ecco perché noi non possiamo accontentarci di fare Eucarestia fra di noi e tutti gli altri sono fuori, non posso stare tranquillo sapendo che il mio fratello ha difficoltà a tirare il mese; e io non posso fare nulla per lui? Devo prendermi a carico di coloro che fanno più fatica. Attenzione, fatica materiale, concreta perché se uno ha fame – dicono i padri della chiesa, ma il buonsenso anche lo dice – è inutile che tu gli dica “Guarda, la Madonna ti protegge”. “Vabbè, la Madonna mi proteggerà pure ma io devo mangiare”. Per cui non dimenticare l’aiuto concreto, materiale. Ma soprattutto fai spazio agli altri nel tuo cuore, fai spazio nella tua mente agli altri. Chi c’è nella tua mente? Per chi ti preoccupi? Per chi ti dai da fare? Per chi spendi energia nella preghiera? Tutta la nostra attività comunitaria deve includere tutti. Devo essere creativamente costruttivo, propositivo. Ed ecco la terza perseveranza: la frazione del pane. E questo è una bellissima espressione dell’Eucarestia. Si rifà al gesto che il padre di famiglia faceva, che è quello di spezzare il pane. Ma lo spezzare il pane ci dice due cose: sicuramente il grande riferimento all’Ultima Cena di Gesù, e quindi all’Eucarestia, al sacramento dell’Eucarestia, quell’Eucarestia che tanto preme a noi oggi, quell’Eucarestia che noi vorremmo tanto, quell’Eucarestia che vorremmo tornare a celebrare insieme. Ma attenzione, attenzione: quell’Eucarestia acquista tutto il suo splendore di testimonianza se diventa companatico, compagno, cioè non deve essere la mia Eucarestia, la mia comunione, non può essere qualcosa di privè, ma deve essere un atto di comunità. “Dove sono i miei fratelli?” E qui mi piacerebbe rispondere a chi spesso, a volte anche su facebook o altri mezzi, dice “I preti hanno chiuso la chiesa e non mi hanno dato la Comunione”: non funziona così, non vedi che c’è tutta una comunità che in questo momento è assente in modo celebrativo ma presente in modo orante in altri modi e in altri luoghi? Non guardare solo al tuo piccolo mondo antico ma cerca di allargare lo sguardo e il cuore, perché dentro al tuo cuore, dentro a quella Comunione che tu desideri tanto ci deve essere chi soffre in un letto di ospedale con un casco in testa, che sta per morire colpito dal Covid, ci sono i genitori di un bambino di otto anni che stanno soffrendo perché ha un tumore e non possono neanche andarlo a trovare perché è da solo colpito anche lui dal virus; e tu ti preoccupi perché non hai fatto la tua Comunione pasquale come facevi tutti gli altri anni? Ci può essere tanto egoismo anche nella ricerca di una partecipazione eucaristica, mentre ci deve essere solo un amore ampio che tiene presente tante realtà, il grande e giusto desiderio dell’Eucarestia, di celebrare il Sacramento pubblicamente, con il popolo cristiano, con la comunità, per portare tutte le intenzioni dentro quel calice, dentro quel corpo spezzato, dentro quel sangue versato. Questo fa l’Eucarestia. Infatti l’ultima grande perseveranza è: le preghiere. Attenzione, la comunità cristiana, fin da subito, si riunisce in certi momenti della giornata per pregare insieme. Perché ciò che caratterizza la comunità cristiana è l’aspetto della fraternità: una fraternità che si vede in modo orante, che ha origine nell’aspetto orante e che sopravvive nell’aspetto caritativo. Allora tu pregherai in modo comunitario tanto quanto ti preoccuperai del tuo fratello, e ti preoccuperai evangelicamente del tuo fratello tanto quanto il tuo cuore sarà pieno di preghiera comunitaria. Colui che non sa stare da solo non sa stare insieme, e colui che non sa stare insieme non sa stare neanche da solo. Lo stile fraterno unanime della comunità cristiana che si rivolge a Dio diventa lo specchio di testimonianza più forte che esista. Ecco allora le quattro grandi perseveranze: l’insegnamento degli Apostoli, cioè la lettura della Parola di Dio nella chiave cristiana, la fraternità, la comunione dei beni e la frazione del pane e le preghiere. La frazione del pane parla di questo grande bene che viene diffuso fra di noi che non è solo l’aspetto sacramentale ma proprio un cuore spezzato che viene donato a tutti.
Nel secondo sommario, capitolo 4 versetto 32-35 si dice: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola, e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro in comune. Con grande forza gli Apostoli rendevano testimonianza della Resurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso perchè quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli e poi veniva distribuita a ciascuno secondo il suo bisogno”. Potremmo dire che questo secondo spaccato parla dell’unità e della comunione dei beni nella comunità di Gerusalemme, tema al quale fanno da sfondo in positivo l’esempio raggiante poi di Barnaba (capitolo 4 versetto 36 e 37) e in negativo Anania e Saffira (capitolo 5), cioè chi riesce a prendersi cura degli altri donando il suo campo, vendendolo e dandolo alla comunità e chi invece si tiene una parte per sé. Detto in parole povere: amico mio, se vogliamo realmente cambiare, riformare la comunità cristiana non bastiamo a noi stessi, non è possibile che tu basti a te stesso. “L’importante è che stia bene io, poi il mondo va tranquillo e sereno”. No, è necessario che tu abbia occhi aperti, orecchie appezzate, cuore pulsante per sentire l’angoscia, la tristezza, l’urlo dei tuoi fratelli e farti prossimo. La grande fraternità che vegliava nella comunità, dove ognuno si sentiva coinvolto nella realtà e nella situazione dell’altro; e per questo nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva ma ogni cosa era loro comune. Soprattutto si sentiva coinvolto; e qui lo dico a coloro che sono responsabili di gruppi, delle varie realtà che compongono la molteplicità del volto di una comunità cristiana: non è tua proprietà, non sei il padrone di quella realtà, ma sei un amministratore, un servo. Il padrone è Dio. Tu sei solo uno strumento. Coinvolgi: il gioco per costruire il noi è coinvolgere. Tutti possono portare il loro contributo, tutti possono dire una parola, tutti possono essere protagonisti, ma devi lasciare spazio, perché se tu crei il tuo bel palcoscenico e ti metti i riflettori sopra di te e gli altri fanno solo da comparsa, sì, sarà anche magnifico il risultato, ma potrei contarti “Vesti la giubba” oppure “Fammi ridere buffone” perché non c’è la comunità. Invece magari un risultato magari più rozzo se vuoi, però più sentito, più partecipato, più coinvolgente; pensate solamente ai bambini, ai ragazzi, hanno bisogno di questo sprint qui, non possono solamente essere spettatori di qualche cosa ma attivi e protagonisti. E l’ultimo riferimento, al capitolo 5, dopo la questione di Anania e Saffira, al versetto 12-16: “Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli Apostoli, tutti erano soliti nello stare insieme nel portico di Salomone; degli altri nessuno osava associarsi a loro ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore, fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli sui lettucci e giacigli, perché quando Pietro passava anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando ammalati e persone tormentate da spiriti immondi, e tutti venivano guariti”. Qui abbiamo l’azione taumaturgica degli Apostoli: molti miracoli, guarigioni e prodigi avvenivano. Cosa significa? Significa che la storia di Gesù, la sua forza, i suoi prodigi, continua ancora nella Chiesa. Cristo Gesù può ancora compiere miracoli attraverso di noi; forse noi non faremo risuscitare un morto, forse noi non daremo il camminare a uno storpio, forse non daremo la vista a un cieco, però possiamo portare speranza, gioia, possiamo portare perdono, possiamo portare verità, giustizia, possiamo guarire il cuore, non tanto con le nostre energie, con le nostre potenze ma semplicemente nel nome di Cristo Gesù, solamente mostrando che questa fede è misericordia, che questa fede è amore, che questa fede ha un nome: Cristo, e Cristo crocifisso, che è risorto e ha donato il suo Spirito, di cui noi siamo ripieni, ed è lo Spirito Santo che aggregherà altri. E allora quando qualcuno ti chiede “Perché sei cristiano?” cosa riponderai? Perché mi hanno battezzato? Perché sono nato in Italia? Un po’ poco. Perché sei cristiano? Perché continui a rimanere cristiano? Perché non ti fai buddista? Che cosa ha Cristo che ti ha preso il cuore e che altri non possono prendere?
Ecco, concludo con questi due spaccati: è interessantissima questa frase “Intanto aumentava il numero degli uomini e delle donne che credevano”. Per la prima volta (ma non sarà l’ultima) tra i nuovi convertiti ci sono le donne. Bellissimo questo riferimento, noi lo diamo per scontato, ma non era così scontato. Tutti hanno spazio, tutti possono partecipare. Le donne, vedrete, avranno un ruolo tutto significativo. E’ fondamentale una completamento di ministero dove la donna non deve rivendicare una posizione, ma trovare un suo spazio di servizio. Fraternità e concordia fondate non semplicemente sulla simpatia che i componenti di un gruppo provavano gli uni per gli altri ma sulla adesione intima e profonda del Cristo Gesù: questo è importante.
E concludo amici miei: uno potrebbe dire “Ma allora è un’utopia questa roba qui; quando Luca ha scritto ‘sta roba qui’ ha fatto solo una comunità idilliaca”. No, Luca descrive una situazione reale, che ha trovato nella comunità di Gerusalemme. Certo nello stesso tempo vedete come cominciano a nascere anche delle contraddizioni all’interno della comunità. Luca descrivendo una situazione reale indica anche un quadro ideale per i cristiani di seconda generazione, cioè quello che a noi cristiani serve come punto di riferimento: guarda lì, punta lì. Quello è importante. Ai cristiani era necessario dare un punto di riferimento sicuro e chiaro. E se volete costruire una comunità, col cuore di Cristo dovete guardare a questi tre spaccati degli Atti degli Apostoli.
Io chiudo con il riferimento al mese di maggio: il santo Rosario è decidersi per il Signore, decidersi per Cristo, perché Lui si è deciso per me, da sempre e per sempre. Attraverso il santo Rosario io creo un legame che unisce tutti e tutto. E’ veramente la catena dolce che ci riannoda a Dio, ed è questa che anche nei momenti di distanziamento sociale non ci fa essere soli, perché tutti noi, pur essendo distaccati come i singoli grani del Rosario, siamo insieme nell’unica grande corona che è l’amore di Dio, che è il cuore della Vergine Maria.
Quarto passo
Atti 10:1-48
Oggi facciamo un passo molto molto interessante. Il decimo è il capitolo degli Atti degli Apostoli che segna uno spartiacque nel modo di annunziare e vivere la realtà del Vangelo. Io l’ho suddiviso in cinque punti brevi e vorrei con voi condividerlo, condividere una certezza: non solo tutti sono chiamati alla salvezza, ma c’è posto per tutti. Oggi dovremmo imparare attraverso la lettura e la meditazione di questo brano a lasciarci sorprendere dalle scelte di Dio; perché la scelta è di Dio. La scelta non è legata a una tua bontà, non è legata a un corrispondere perfetto a quello che gli altri si aspettano, non è il premio di essere un bravo ragazzo, ma la scelta è puro amore, e l’amore è gratuito. E lo Spirito soffia dove noi non ce lo aspetteremmo. Ed è questo che fa la differenza. Ci sono cristiani che si attendono risultati evangelici perché hanno studiato a tavolino la metodologia perfetta da attuare e ci sono cristiani che pur mettendo a servizio del Signore la propria intelligenza e la propria organizzazione si lasciano sorprendere dallo Spirito Santo. Ecco, noi vogliamo essere questa seconda categoria.
L’episodio di Pietro e del Centurione segna appunto una grande svolta all’interno della storia della Chiesa primitiva. Luca vi dedica tutto un capitolo, il capitolo 10, ritornandovi per altre due volte in due passi seguenti: quando Pietro dovrà giustificarsi per ciò che ha fatto (nel capitolo 11), quando è andato ad alloggiare da un non-giudeo (Cornelio, pagano) e al concilio di Gerusalemme. Per cui è proprio un punto di non ritorno. Giudei e Pagani: due mondi distanti, e per lungo tempo in rotta di collisione, si avvicinano in questa pagina non solo per incontrarsi ma per creare qualcosa di nuovo, e questo grazie allo Spirito Santo. Il racconto di Cornelio è il terzo grande racconto di conversione che gli Atti ci ha già presentato. Il primo episodio di conversione che ci ha stupito è quello dell’Etiope, di questo amministratore della regina di Saba, che ad un certo punto incontra (e quasi potremmo dire occasionalmente) Filippo. Noi sappiamo che Filippo viene mandato, quasi teletrasportato, dallo Spirito Santo. Ebbene, in quell’occasione, l’iniziativa di Dio, che è lo Spirito Santo che porta Filippo ad incontrare l’Etiope che sta leggendo un brano dell’Antico Testamento non comprendendolo, ci dà la prima chiave di lettura fondamentale: le Scritture parlano di Cristo. E Filippo, nella prima conversione che gli Atti ci riportano (quella dell’Etiope), ci mostra come questo dato sia il primo passo da farsi: per conoscere Gesù devi saper leggere le Scritture, ma leggerle con questo sguardo cristologico, non solo cristiano. Le Scritture parlano di Cristo.
Il secondo episodio interessante è la conversione di Paolo (capitolo 9): Paolo viene tirato giù dal suo modo di stare al mondo, e scopre attraverso la sua conversione che la salvezza è totalmente gratuita. Paolo la impara benissimo questa lezione: Paolo si porterà per tutta la vita il fatto di aver perseguitato i cristiani (ed era perseguitare Cristo), ma come si è sentito un persecutore Paolo si è sentito un perdonato. “La salvezza – dice Paolo – è totalmente gratuita”; e Paolo si batterà anche con una certa ferocia affinchè nulla venga legato alla salvezza in modo quasi meccanico.
E la terza grande conversione è Cornelio: Cornelio e Pietro. Che cosa ci insegna qui? Ci insegna che lo Spirito Santo, Dio, la Grazia, non fa differenza di persona, gli uomini tutti sono chiamati, c’è posto per tutti. Ecco, questo è l’ultimo insegnamento centrale del brano che stiamo adesso esaminando: i due protagonisti umani sono Pietro e Cornelio, ma il vero protagonista è lo Spirito Santo. Tutto gli Atti degli Apostoli è una lettura dello Spirito Santo, ed è fondamentale leggerlo in questo periodo perché è la preparazione più prossima alla grande festa di Pentecoste.
Faccio una provocazione: tutti voi sapete che dal 18 di questo mese sarà possibile celebrare pubblicamente l’Eucarestia e gli altri Sacramenti. E allora i sacerdoti e chi è responsabile delle chiese si sta attrezzando per far sì che tutto avvenga secondo una certa disposizione corretta; ma la domanda non è “come celebro il Sacramento”, non è neanche “se sono d’accordo o meno sulle disposizioni sanitarie che ci hanno dato”. La domanda è “come far ripartire una comunità? Dov’è la comunità cristiana?” La fede non può essere una celebrazione personale privata, ci siamo detti già l’altra volta. Ed è importante ristabilire la connessione della comunità cristiana. E allora il 18 si potranno riaprire anche le chiese, si potranno celebrare anche i Sacramenti, ma bisogna fare attenzione che non sia solo un fatto meccanico: è necessario che la comunità cristiana si prepari spiritualmente a riunirsi e a poter rivivere come comunità il sacramentum caritatis.
Vediamo il testo: siamo al capitolo 10 versetto 1-8. Questa è la prima scena: un uomo, si chiama Cornelio, abita a Cesarea di Filippo. Chi c’è a Cesarea? Il governatore romano; egli infatti è un centurione romano della Coorte Italica, quindi uno che non era un comandante qualsiasi, era uno vicino al governatore, era potremmo definirlo nella stanza dei bottoni, cioè uno sul quale il governatore faceva affidamento. E come veniva descritto questo Cornelio? “Uomo pio e timorato di Dio”: cioè un uomo con una spiccata sensibilità religiosa, un uomo che non ha paura di far emergere nella sua vita una dimensione di ricerca, non solo intellettuale ma soprattutto interiore, spirituale. Era timorato di Dio, cioè non faceva parte del popolo ebraico, non era un Ebreo, eppure era un uomo che simpatizzava per la fede, per la religione. Non solo lui, ma tutta la sua famiglia, diciamo che il tessuto con cui viene presentato Cornelio è un tessuto molto molto buono. Non solo: era un uomo che, poiché la sua religione era una ricerca vera (la si vede perché la sua carità ne è conseguente), faceva molta elemosina. E guardate cosa dice l’Angelo: “Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite in tua memoria innanzi a Dio”. Cioè “io sono venuto a te, ho ascoltato le tue preghiere perché tu mi hai dimostrato che sei capace di amare, e amare realmente: amare Dio e amare il fratello”. Ed è così specifico che addirittura gli dice dove era ospitato Pietro: “quella casa sulla riva del mare, da un certo Simone conciatore”. Ecco allora il primo grande dono che ci dà questa visione: siamo chiamati a cambiare lo sguardo, fatti sorprendere, lo Spirito Santo vuole mostrarti uno sguardo nuovo sul mondo pagano), cioè, nel mondo pagano, in quel mondo che tu consideri lontano da te, contrapposto a te, forse sta germogliando qualcosa di molto simile a te: non perderlo. Occhio al pregiudizio. Occhio che il pregiudizio culturale, religioso, non ti blocchi all’apertura dello Spirito. C’è del buono anche fra coloro che non sono fra i nostri. Bisogna però lasciarsi guidare dallo Spirito. Seconda visione, seconda grande scena: sempre capitolo 10 dal versetto 9 al versetto 16 …(Lettura del testo)…
“Il giorno dopo” quindi nel mentre che i due servi e il pio Appuntato vanno a Giaffa.
Pietro era sulla terrazza, nell’ora di pranzo (bellissimo questo riferimento potremmo dire quasi famigliare), ha fame, e il Signore usa questa sua condizione: gli fa vedere una tovaglia con molti animali conosciuti, puri e impuri. Qui fondamentalmente viene superata la legge della purità levitica. Questa cosa qui verrà poi ripresa in modo particolare da Pietro e poi nel Concilio di Gerusalemme. Ma attenzione: non solo viene eliminata la legge della purità levitica per ciò che riguarda gli alimenti, ma diventa il paragone sulle relazioni: non definire impura quella relazione con Cornelio. Perché? Perché io l’ho resa pura. Tu non commetti un atto contro la legge parlando con Cornelio, perché io l’ho purificato. Ecco allora, se nella prima scena lo Spirito Santo ti dice: “fai attenzione, sia le tua mente, il tuo cuore, il tuo sguardo aperto, non lasciarti bloccare dal pregiudizio”, qui, nella seconda scena, ti dice: “fai attenzione a chi ti sto mandando, io ti parlo attraverso gli incontri che tu stai per fare”. Gli incontri che tu stai per fare, ciò che tu stai per dire, le relazioni che si stanno per creare non sono relazioni casuali. C’è qualcosa che devi capire, io te li mando e te li mando perché loro possono ricevere una parola di salvezza, perché tu possa comprendere la mia misericordia.
Ed ecco il terzo passaggio, finalmente l’incontro tra Pietro e Cornelio, dal versetto 17 al versetto 33 … (Lettura del testo) … Interessante, fate attenzione: sono Pagani queste persone qui, non entrano in casa perché sanno che tra Giudei e Pagani non ci può essere relazione. Ma attenzione a cosa fa Pietro: Pietro inizia già con i servi di questo Cornelio (pagani) ciò che lo Spirito gli farà fare con Cornelio. Pietro non li caccia via, Pietro li fa ospitare, sta con loro, e inizia a crearsi un nuovo modo di relazionarsi nella comunità, nessuno deve sentirsi escluso perché è lo Spirito che li ha mandati. Non è un atto singolo, è una comunità che si muove (“Il giorno seguente si misero in viaggio con loro… Alcuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono”). “Cornelio aveva invitato i congiunti e gli amici più intimi”: interessante questo, Cornelio non riceve Pietro come in vip, come se ricevesse una personalità onorata, “che la personalità venga, ma solo mia e la tengo solo per me”. Cornelio inizia ad essere un predicatore, un testimone, e chiama, raduna amici e conoscenti più intimi. Qui potresti farti una domanda: hai mai chiesto a qualcuno “vieni con me a messa”? Hai mai chiesto e detto a qualcuno “vieni con me”? Hai mai invitato, ti sei mai fatto testimone e propositore di incontri, catechesi, celebrazioni? Non perché arriva il prete, arriva il predicatore, non perché c’è questo o c’è quello, ma per ascoltare una parola di salvezza.
“Mentre Pietro stava per arrivare, Cornelio andandogli incontro, si gettò ai suoi piedi per adorarlo”: vuole talmente venerare questa figura che lo considera quasi un dio. “Ma Pietro lo rialzò dicendo. Alzati, anch’io sono un uomo”: diffidate da quei soggetti che si atteggiano a mistici; il vero mistico, il vero uomo di Dio sa stare al suo posto.
“Non si può dire profano o immondo nessun uomo”: chi escludi nella tua vita? Dalla comunità cristiana chi è escluso? Chi manca alla nostra mensa? … (Lettura del testo) … Qui ci sono due aspetti importanti che vanno tenuti a mente. Il primo: nessuno deve mancare, appunto, dalla nostra mensa, ma Cornelio impara a ricevere la rivelazione particolare di questa visione nella preghiera, come Pietro era in preghiera. Primo punto fondamentale: la preghiera è ciò che rivela realmente una ricerca sincera della Verità. La ricerca sincera della Verità non inizia qui (in mente), ma inizia dalla preghiera, perché solo Dio è Verità, e solo Dio può illuminare. E poi sappiamo che la tua parola è una parola che non è tua, ma tu annunzi qualcosa che ti è stato dato. Noi dobbiamo ascoltare quella cosa lì. E qui è un richiamo per tutti noi predicatori (sacerdoti, religiosi): non dobbiamo predicare la nostra idea, quello che noi pensiamo, dobbiamo predicare Cristo, e quello che abbiamo ricevuto, la tradizione va trasmessa. Certo, le modalità possono essere differenti, possiamo renderla più alla portata di mano, più semplice possibile, questo sì, dobbiamo mediarla se volete culturalmente parlando, questo sì, ma attenzione, abbiamo messo troppo delle nostre cose personali, abbiamo fatto troppo show. Non siamo degli showman, siamo dei ministri, siamo degli amministratori. Amici carissimi, religiosi, religiose: dobbiamo testimoniare Cristo, dobbiamo testimoniare la tradizione e la dottrina che la Chiesa ci dà, non perché è qualcosa di inviolabile ma perché la Chiesa ce la dà come tesoro da amministrare. Non sei possessore di nulla.
Quarto punto, dal versetto 34 al versetto 43: Dio non fa preferenze di persona, tutti siamo chiamati, tutti devono ricevere il Vangelo, l’annunzio missionario non deve terminare mai, finchè il Signore non tornerà su questa terra.
…(Lettura del testo) …Gesù Cristo non è più il Signore solo degli Ebrei convertiti, ma di tutti, Pagani ed Ebrei, Pagani convertiti ed Ebrei convertiti. Le tue parole, le tue gesta, devono portare il bene, fare il bene e risanare, cioè guarire, liberare, convertire.
…(Lettura del testo) …. Questa è la prima sintesi del Credo degli Apostoli: cosa ha fatto Gesù in vita, perché l’ha fatto e qual è l’effetto. Gesù è il Signore di tutti, Gesù è il Salvatore di tutti, Gesù è il giudice dei vivi e dei morti. Se tu credi in Lui hai la remissione dei peccati, per mezzo del Suo nome. I tuoi peccati sono perdonati, cioè non sei più schiavo, sei un uomo libero, sei un uomo vero, sei un uomo giusto.
Ultimo passo, è quella che potremmo definire una piccola Pentecoste, dal versetto 44 al versetto 48. …(Lettura del testo)… Ecco, ricevono anch’essi lo Spirito Santo, e Pietro li fa battezzare. E allora si diventa cristiani con il dono del Battesimo e il dono dello Spirito, si diventa cristiani attraverso questa via, nel nome di Gesù. Lo Spirito Santo scende come sugli Apostoli così su tutti coloro che credono e questo sancisce quasi come un sigillo la presenza, la chiamata, l’elezione di Dio. E allora vengono battezzati, perché siano uomini liberi, vengono battezzati perché siano beneficati e risanati, vengono battezzati perché possano essere figli di Dio, far parte della comunità cristiana, della Chiesa, del nuovo Israele, al di là che vengano dal mondo pagano o dal mondo giudaico. E allora amici carissimi, dobbiamo curare maggiormente il nostro Battesimo, invocare molto lo Spirito Santo, perché altri possano sentire la chiamata alla salvezza. Qui in gioco c’è la vita eterna. Noi non possiamo, non dobbiamo assolutamente lasciarci imbavagliare da frottole, noi dobbiamo predicare la salvezza per la vita eterna, per una vita che sia felice qui, già adesso quanto umanamente possibile, e soprattutto di là, in Paradiso.
Ci aiuti tanto la Vergine Santa, ci aiutino tanto i nostri Santi Patroni. Ecco amici carissimi, io vi ringrazio per aver condiviso con me questa Parola di salvezza, vi ringrazio, vi benedico di cuore e vi affido tutti alla Madonna.
Ave Maria…
Quinto passo
Atti 11:19,26. 15,1-35: Dal conflitto… Un’opportunità
Nella prima parte del capitolo 11 troviamo la descrizione della prima comunità cristiana nella sua dinamicità: non solo più il suo spaccato ideale, carismatico (che abbiamo già affrontato) ma quasi potremmo dire storico.
…(Lettura del testo)… Ad Antiochia succede qualcosa di particolare: per la prima volta nella storia i cristiani vengono identificati come un gruppo a sé, come un gruppo potremmo dire indipendente, con una propria identità, o comunque sia riconosciuta, non più semplicemente una setta ebraica o un gruppo strano che prende insieme pagani e non pagani, ma un gruppo che si rifà a una figura, questo Gesù Cristo, che ancora non è chiaro al mondo chi Egli è. Quindi primo punto interessante: come ci chiama la gente? Come ci identifica? Noi siamo discepoli del Signore: la gente sa che siamo cristiani? La nostra comunità, prima ancora di essere parrocchia, può essere definita cristiana? E’ una comunità cristiana? La gente di fuori potrebbe dire “questo è un cristiano”? E da che cosa è possibile identificarlo? Non è un discorso così astratto, soprattutto in un periodo in cui noi torneremo (se Dio vorrà, pur nelle circostanze un po’ particolari) a fare comunità. Che cos’è che determina la comunità? Che cosa ci rende cristiani? Ai tempi del Nuovo Testamento ad Antiochia, capitale della provincia romana di Siria (quindi non una cittadella qualsiasi, potremmo dire una Roma della Siria), contava circa 300000 persone (quindi un agglomerato non indifferente), sorgeva sulle sponde dell’Oronte (fiume missionario perché Paolo al capitolo 13 lo userà come primo viaggio missionario; infatti entrò nell’orbita della storia cristiana in occasione della prima persecuzione che uccise Stefano nel 37 d.C.), vi risiedeva una forte comunità giudaica (non è la prima volta nella storia di Israele che i Giudei si disperdono: la cosiddetta diaspora; nell’Antico Testamento ne contiamo almeno un paio). Nel Nuovo Testamento abbiamo questa grande diaspora in cui i Giudei traslocano e vanno in altre città, ma in queste città costituiscono una comunità a parte: ecco dove lo Spirito Santo fa nascere il nuovo. Luca annota che qui per la prima volta i credenti hanno appunto il nome di cristiani: questo indica che i cristiani erano riconosciuti nell’ambiente come un gruppo autonomo, distinto sia dai pagani che dai giudei. E quello che li qualificava era la fede in Cristo morto e risorto. In questa comunità si riscontrano tutti gli aspetti sostanziali della Chiesa madre di Gerusalemme. Considerato il libro di tutti i cristiani, il Nuovo Testamento faceva da faro per la comunità. Ci sono tutti gli elementi della comunità di Gerusalemme: la fede in Gesù morto e risorto, il Battesimo, il culto e la Parola di Dio (ovviamente non il Nuovo Testamento, ma l’Antico). Però cosa succede? Che alcuni abitanti di Cipro e di Cirene incominciano a parlare di Cristo Gesù ai pagani (un po’ quello che ha fatto Pietro: Pietro fu portato dallo Spirito a sperimentare, e servirà a Pietro questa esperienza, lo vedremo dopo); questo crea un inedito, perché non c’era collegamento tra i giudei e i pagani, tutt’altro. E invece la comunità cristiana si presenta come una comunità che tenta, almeno in questo slancio iniziale, una missionarietà universale. E non si poteva non constatare che Dio benedicesse questa loro missionarietà (“La mano del Signore era con loro e un gran numero credette e si convertì al Signore”). Qui potremmo farci una seconda domanda: Quanto la nostra comunità cosiddetta cristiana è missionaria? A chi si rivolge? A che punto stiamo con l’annuncio del Vangelo a coloro che non ci conoscono, a coloro che non Lo conoscono? La missionarietà fa parte del DNA della comunità cristiana, non è una comunità elitaria chiusa, ma dinamicamente, pneumaticamente, spiritualmente (perché è lo Spirito che anima e guida, che compie prodigi) parte (slancia) in missione. Senza missione c’è la morte. Le comunità cristiane senza missione sono morte. E la missionarietà si vede sempre, anche nei tempi del Coronavirus. Ingegniamoci in tutti i modi per portare a tutti la Parola di Dio, sempre e ovunque. Questo successo vasto, imprevisto, inaspettato sorprese la Chiesa di Gerusalemme: che cosa fa? Manda Barnaba. Cioè la Chiesa di Gerusalemme vuole indagare cosa sta succedendo ad Antiochia: e ci manda chi? Non un inquisitore, nel senso peggiore del termine (perché guardate, ve lo dice un domenicano: l’inquisizione ha avuto anche degli uomini santi, non necessariamente dei pazzi scatenati. C’è stato anche qualche pazzo, ma questo come in tutte le strutture della nostra vita umana), ma un uomo virtuoso: che cosa fa? “Era virtuoso, pieno di Spirito Santo, di fede”, e constatando che quell’azione missionaria era benedetta da Dio non fa altro che dire “continuate”. Ecco, noi abbiamo bisogno di pastori che non solo ci aiutino a sostenerci nel cammino ordinario ma che diano lo slancio di andare oltre, di aprire strade nuove, di sapere che la Parola di Dio non può rimanere incatenata. E di cosa si accorge Barnaba? Si accorge che questa comunità di Antiochia ha un buon tessuto, ma gli serve un fondamento biblico e catechetico, cioè gli serve un approfondimento, va in profondità; ecco il grande errore delle nostre comunità attuali (potremmo dire il grande gap, il grande vuoto): la comunità cristiana deve approfondire la propria fede, deve in modo ordinario avere non solo dei momenti ma uno stile di approfondimento, dove c’è la Scrittura e c’è la dottrina, dove c’è la dottrina e c’è la Scrittura (non sono in contrasto ma si fecondano a vicenda). Questo ci permettere di andare in profondità al mistero di Cristo: noi facciamo grandi percorsi per i bambini, grandi percorsi per gli adolescenti, qualcosina per gli adulti, qualcosa per gli anziani, ma è tutta roba spezzettata. La Chiesa, come comunità cristiana missionaria, per annunziare il Vangelo necessita lo studio, lo studio (se volete sistematico) della Scrittura e della dottrina. Noi dobbiamo sapere e avere consapevolezza spirituale e affettiva, potremmo dire una conoscenza sapienziale (quindi non solo una roba veritativa intellettuale, ma sapienziale, quindi capace di performare la realtà) capace di rendere testimonianza della ragione che è in noi, della grazia che è in noi, della grazia che ci ha conquistato. Non è tempo perso, tutt’altro. E questo si fa con lo studio tecnico, con la catechesi, con la preghiera (l’adorazione Eucaristica per esempio, il santo Rosario ad esempio), ma anche la lectio divina. Ecco, è vero che la comunità cristiana deve darsi da fare anche nell’aspetto sociale e giustamente caritativo (perché l’annunzio del Vangelo necessita dei segni concreti che fanno dire che il regno di Dio è in mezzo a noi anche nel prendermi cura di te) ma io non devo assolutamente correre il rischio di svuotarmi totalmente, io devo avere chiaro che dentro di me vi è Gesù Cristo. Nella Sacra Scrittura e nella dottrina imparo ad amarlo e dunque imparo a comportarmi come Lui vuole. Ecco, questo è il primo spaccato che abbiamo affrontato oggi: la comunità di Antiochia. Allora cosa succede? Succede che questo inedito (in cui Pietro è andato da Cornelio che era un pagano e si è convertito; questi pagani di Antiochia vengono convertiti al cristianesimo) crea il problema di come integrare i pagani all’interno della comunità cristiana; e c’erano due anime fondamentalmente: coloro (come Paolo e Barnaba) che sostenevano che non era necessario far passare i pagani dalla legge ebraica (mosaica) e chi invece sosteneva il contrario (“no, devono farsi prima ebrei, e da ebrei diventano cristiani”). Guardate che questa pagina che ora affrontiamo ha segnato la nostra storia: siamo al capitolo 15 dal versetto 1 al versetto 5 (…Lettura del testo…). Ecco il primo conflitto, non tutti sono d’accordo: c’è chi vorrebbe blindare una storia ben conosciuta (quella giudaica) e farla diventare il traghetto su cui trasportare il messaggio cristiano, per cui Gesù diventerebbe praticamente un orpello di questa grande nave, ma la nave è quella giudaica (la legge mosaica) quindi veramente il cristianesimo sarebbe stato a quel punto una evoluzione se volete del giudaismo ellenico (quindi il giudaismo della diaspora), oppure qualcosa di inedito, di nuovo. Che cosa rende realmente cristiano? La fede in Gesù Cristo. C’è bisogno di passare da Mosè? No – dice Paolo – soprattutto per coloro che non hanno mai visto, mai conosciuto Mosè: noi. Noi siamo pagani, noi veniamo dal mondo pagano, noi non sappiamo cosa significa essere ebrei, cosa significa essere sotto la legge mosaica. E infatti noi molti passi dell’Antico Testamento facciamo fatica a comprenderli perché non abbiamo una cultura semitica, che invece per loro è abbastanza immediata. Ecco, c’è questo grande conflitto. E veramente potrebbe sembrare che la comunità cristiana si spaccasse. A volte i conflitti manifestano posizioni se volete anche giuste dalle diverse parti, ma come si fa a ricomporre il conflitto? Semplicemente con un compromesso? Semplicemente “guarda, facciamo una parte tua e una parte mia”? O scannandosi a vicenda perché un gruppo prevalga sull’altro? Il conflitto, insomma, è la tomba di una dinamica vitale di una comunità o è un’opportunità per qualcosa di inedito? Cioè un qualcosa su cui lo Spirito Santo possa agire per creare qualcosa di inedito? Vediamo. Dal versetto 5 al versetto 6. …(Lettura del testo)… Primo punto fondamentale: la comunità non ha paura del confronto, del dialogo, dobbiamo discutere. Spesso nelle nostre comunità viaggia la questione del comandante: noi pensiamo che l’uomo forte (e questo soprattutto nei momenti, storicamente parlando, di crisi) al comando sia quello più facile, perché fondamentalmente lui sa quello che bisogna fare, “Dura lex sed lex”. Non funziona così: il Vangelo funziona nella ricerca del bene comune, perché ciò che interessa a tutti da tutti deve essere confermato e ricercato, cioè ciascuno può portare il suo contributo. Nella ricerca del bene comune, la verità nessuno ce l’ha in tasca, e allora bisogna discutere. Poi però Pietro, dal versetto 7 al versetto 12, porta la sua esperienza (ecco allora perché il Signore gli ha fatto fare quell’esperienza con Cornelio). …(Lettura del testo)… Innanzi tutto Pietro dice “E’ Dio che chiama”. Pietro dice che è un dato di fatto: lo Spirito Santo ha voluto che anche i pagani ascoltassero la Parola. E’ Dio che conosce i cuori, è sempre Dio che sceglie. Attenzione, Pietro ragiona da ebreo, dice: “Che cosa ci rende” (a noi ebrei) “uniti nella fede ebraica? La circoncisione, cioè quel segno particolare che fa sì che noi siamo il popolo ebraico”. Bene, lui dice: la circoncisione del cuore è data dallo Spirito Santo che illumina con la fede. Questi pagani sono diventati parte della comunità cristiana perché Dio li ha scelti, li ha chiamati. Cosa significa questo? Significa che la predicazione missionaria cristiana non è la vendita di un prodotto, io non sto piazzando un prodotto che deve essere affascinante per cui qualcuno lo debba comprare, io non faccio il pubblicitario, io faccio il missionario, faccio il predicatore; per cui io devo riconoscere innanzitutto che non parto da me, ma io sono un inviato, inviato da Dio, è Dio che ha scelto questo popolo pagano perché riceva la Parola. Sta però al popolo pagano poi accogliere la Parola, ma Dio (nell’esempio di Cornelio) aveva già preparato i loro animi ad accoglierlo (ed ecco lo Spirito Santo disceso nel cuore), li ha purificati con la fede. E allora facciamo attenzione, amici cari, a non escludere nessuno dalla comunità, che nell’annunzio missionario della nostra comunità (che deve essere il DNA della nostra vita, la propulsione della nostra vita, che deve essere quella che ci rende capaci di essere chiamati discepoli del Signore) nessuno deve essere escluso, perché Dio ti sta mandando. A chi ti manda? Chi sono i tuoi pagani (potremmo dire così)? Lo Spirito Santo ti sta aprendo nuove vie: verso dove? Fai attenzione: stai ascoltando lo Spirito Santo o pensi che lo Spirito Santo ascolti semplicemente i tuoi piccoli progetti o le tue piccole idee? C’è un confronto insieme nella costruzione di una dinamica missionaria della comunità? O aspettiamo che sia lo Spirito Santo a discendere sul parroco, e il parroco infiammato in modo carismatico, ad un certo momento, sa leggere i segni dei tempi? O il discernimento della comunità è dettato invece in modo più (se volete) fraterno dalla condivisione delle idee? …(Lettura del testo)… Pietro è onesto, dice: guardate, anche noi con la legge mosaica facciamo fatica, è inutile imporla agli altri. Interessante questo criterio. Nel presentare la fede cristiana non tutto è essenziale, molto è corollario, o meglio: molte delle verità cristiane sono conseguenza di grandi ceppi, perché fioriscono su questi ceppi, ma se uno non conosce, non ha i ceppi è inutile che tu continui a fermarti sul germoglio. Pietro si schiera con Paolo e Barnaba, dice: basta, è Gesù Cristo che salva, se Gesù Cristo ha voluto così ben venga. …(Lettura del testo)… Ed ecco poi che si conclude con Giacomo: Giacomo fondamentalmente (lui che è uno della colonna della comunità di Gerusalemme) non fa nient’altro che chiedere a coloro che vengono dal mondo pagano tre cose: 1) di non mangiare o comprare la carne immolata agli idoli (cioè, far sì che concretamente tu compia un gesto che dica che tu col mondo pagano, con l’idolatria pagana, hai rotto), 2) che anche le relazioni sentimentali affettive siano fatte con rettitudine (non ci deve più essere il miscuglio del padre che sposa la figlia o situazioni di impudicizia), 3) che non mangino animali soffocati dal sangue (in modo tale che ci sia un segno anche da parte dei pagani, da dire “io col mio mondo da cui provengo ho rotto perché abbraccio qualcosa di nuovo”). Che non significa che chi viene accolto nella comunità cristiana viene accolto ipso facto così, anche lui dovrà fare un passo di conversione, questo va detto a coloro che vengono fra di noi: non è che per il fatto che io ti accolgo, che tutti quanti possono far parte della mia comunità, allora “io sono fatto così e mi devi prendere così”; io ti prendo così ma devi migliorare, su alcune cose devi cambiare, su alcune cose devi convertirti. Ecco, questi passi che abbiamo ascoltato negli Atti degli Apostoli ci hanno permesso di mostrare: come la comunità cristiana sia fondamentalmente chiamata a essere missionaria (l’aspetto missionario deve essere quello che ci permette di essere dinamicamente riconoscibili davanti al mondo come discepoli del Cristo Signore), che siamo aperti a chiunque (perché siamo sicuri che tutti possono ascoltare la Parola di Dio), e che all’interno della nostra comunità i conflitti che possono sorgere sono conflitti che creano opportunità nuove (lo Spirito Santo sta dicendo qualcosa). Ma attenzione: sia le resistenze sia gli slanci troppo eccessivi devono essere compenetrati da uno Spirito sapiente, cioè saper tenere ciò che è essenziale ma saper creare anche qualcosa di nuovo: perché? Perché tutti possono e devono essere salvati. E’ importante questo. E permettere un tessuto fraterno capace di chiamare alla conversione coloro che vengono dietro di noi. Coloro che entrano dentro la comunità cristiana devono sentire un profumo diverso, un’umanità diversa, di gente non che sa come funziona il mondo, di gente che sa ricominciare sempre nella misericordia di Dio, persone che sanno mettersi in discussione e che sanno che la Grazia di Dio li ha salvati una volta per tutte, e che nonostante i loro peccati vogliono ricominciare nell’amore di questo Cristo Gesù che ha dato tutto se stesso per loro. Ecco perché noi siamo il faro del mondo: non perché siamo potenti, ma perché siamo persone che hanno ricevuto misericordia, e sappiamo cosa significa essere amati, e sappiamo cosa significa amare, e vogliamo che tutti quanti abbiano questa possibilità attraverso la nostra predicazione, la nostra testimonianza, la nostra carità, attraverso l’annunzio che Cristo Gesù è l’unico salvatore del mondo.
Ave Maria…
Sesto passo
Atti 17,15-34
Siamo in un momento molto particolare di Paolo, ma che potremmo dire è uno spaccato di presenza cristiana ancora molto molto attuale. Tutta la Sacra Scrittura (poiché ci parla di Gesù vivo) è presente nella nostra attualità, ma c’è qualche brano che quasi potrebbe darci uno statuto su come comportarsi con la modernità, con la contemporaneità. Ricordandoci sempre che il cristiano non è un sociologo: il cristiano non lavora con un mestiere nel mondo, il cristiano vive (con fede, e per mezzo della fede) la sua storia ovunque egli si trovi, qualsiasi sia l’incarico che ricopre, in qualsiasi posto, in qualsiasi modo.
…(Lettura del testo)… E’ importante questo brano perché ci introduce in una situazione inedita di Paolo: Paolo non è più colui che annunzia solamente la verità del Vangelo ai Giudei che lo accolgono ma si confronta con la cultura ellenica (greca) del tempo, con l’intelligenza del tempo. Qui si potrebbe fare tutto quanto il discorso del rapporto tra fede e ragione, qui si potrebbe fare tutto quanto il discorso di come ai nostri giorni è fondamentale annunziare il Vangelo alla cultura e nella cultura, perché è la cultura che cambia il mondo; certo che è fondamentale ed è importante anche l’aspetto assistenziale e caritativo ma a pieno diritto anche, e non è un lavoro per élite, non è un lavoro solamente da concerto da camera di signorotti, baroni e contesse, qui si tratta di un’urgenza fondamentale: questo mondo sta vivendo come se Dio non ci fosse. Ci sono idee, pensieri, correnti filosofiche che si spacciano per religiose che inficiano il cuore e la mente di tanti tanti nostri fratelli, e noi non possiamo e non dobbiamo per un falso concetto di predicazione non occupare quei posti, perché ricordatevi che se non li occupiamo noi quei posti lì, quei posti vengono occupati da altri. Noi dobbiamo cristianizzare tutta la società (tutta, in qualsiasi campo essa sia), non per fare una semplice dottrina quasi potremmo dire ideologica del cristianesimo, ma perché Cristo tutto ciò che ha assunto in sé lo ha redento; anche l’intelligenza, anche la riflessione intellettuale, anche la cultura necessita di incontrare Cristo. Ovviamente per far questo bisogna far sì che l’annuncio del Vangelo sia fatto in un certo modo. Io parto dall’ultima frase che ho letto, siamo al versetto 21: “Tutti gli ateniesi, infatti, gli stranieri colà residenti, non avevano passatempo più gradito che parlare e sentir parlare”. E’ la fotografia di oggi. Paolo si trova ad Atene. Atene è la capitale della cultura, ma si trova in uno stato di decadenza aurea (conta 5000 abitanti, ha perso abitanti, ha perso smalto, ci sono città come Alessandria ad esempio, o la stessa Tarso di Paolo che batte a livello di qualità cittadina l’antica Atene), eppure Atene poteva vantare rispetto ad altre città della Grecia, della Magna Grecia una storia che è impari: militare (con personaggi fondamentali come Alessandro), culturale (pensate all’arte greca), filosofici e poetici, e soprattutto Atene era ricercata dall’intelligentia anche romana che volevano percorrere tutto un percorso filosofico-esistenziale legato a Socrate, legato a grandi filosofi. Paolo in questo brano dovrà confrontarsi con due grandi filoni della filosofia greca: l’epicureismo e lo storicismo. Lo stoicismo era in parte presente anche nella cultura romana, per cui è ovvio che i romani si trovavano abbastanza bene in quell’ambiente. Ora, che cosa succede? Succede che quella gente non è nella ricerca -se vogliamo- profonda della verità, ma gode nel sentire qualcosa di nuovo, insegne la verità -direbbe sempre san Paolo- per un prurito. E’ più quello che avviene oggi nella pubblicità: più tu sei affascinante, più tu sei un bravo piazzista più la gente la attiri, corre a te. Ma quando poi si tratta di verificare poi il contenuto vedremo le reazioni che succedono. Ecco, Paolo si trova in questo posto, e in questo posto ovviamente c’è un politeismo. Fate attenzione: “Mentre Paolo li attende ad Atene, fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli”. Paolo non ammette altri dei, la presenza di altri dei. Ma attenzione, il fatto che lui abbia questo spirito fremente ci deve dire due cose: 1) ciascuno di noi dinnanzi all’incontro con qualcun altro con l’ambiente completamente opposto al nostro, ovviamente nota le differenze marcate tra noi e loro. E anche gli errori che emergono (errori di impostazione, errori dottrinali, errori di filosofia, di antropologia). Ma attenzione: Paolo non parte con una mazza in mano spaccando tutti gli idoli che trova, Paolo freme in cuor suo ma sa dirigere bene il suo fremito e un’energia positiva e creativa. Anche noi, non dobbiamo dire “tutto va bene” pur di mantenere la pace, no. Ciò che è giusto è giusto, ciò che è vero è vero, ciò che è falso è falso; bisogna dire la verità, bisogna combattere per la verità, bisogna sapere anche sostenere la verità, ma senza violenza. Bisogna trovare il modo di trasformare questo nostro fremito per la casa del Signore in un impulso propositivo capace di annunziare il Vangelo. Ed ecco allora che Paolo, come faceva le atre volte, discute nella sinagoga con i giudei e i pagani credenti in Dio (e quindi questo già lo faceva), ma attenzione cosa aggiunge: “Ogni giorno sulla piazza principale con quelli che incontrava”. Paolo va in piazza, Paolo ha il coraggio di solcare la soglia di posti nuovi e di confrontarsi con una realtà nuova dove non aveva un ambiente che lo accogliesse, non era la sinagoga con cui aveva qualcosa con cui condividere, almeno la sua tradizione ebraica, no, va con gente completamente opposta. E anche certi filosofi (epicurei e stoici) discutevano con lui. Come lo accolgono Paolo? Non con l’applauso ma lo attaccano, c’è chi gli dice che è un ciarlatano (la parola ciarlatano significa che è colui che prende un po’ di qua e un po’ di là mettendo insieme le menti diverse spacciandola per una filosofia nuova), altri dicono che era uno che annunziava culti pagani e stranieri (perché parlava di Cristo e di Risurrezione, e loro pensavano che Cristo e la Risurrezione fossero due dei, ‘anàstasis’ cosiddetta in greco), per cui Paolo non è accolto bene, non è accolto con attenzione come da altre parti, ma c’è un conflitto: “Cosa vuole questo da noi? Cosa vuole, cosa cerca? Perché ci sta dicendo queste cose qui?”. Ecco, la prima concretizzazione potrebbe essere questa: è giusto ed è naturale che le comunità cristiane coltivino l’ambiente ordinario dove annunziare il Vangelo (la parrocchia, i percorsi catechistici di tutti i livelli) ma è necessario anche pensare a un luogo dove è possibile il confronto con gente completamente diversa, l’annunzio cosiddetto ‘ai lontani’. Questo annunzio ai lontani non è una sorta mitica di slancio apostolico, è qualcosa di concreto. Pensate all’idea straordinaria che ha avuto don Giovanni nel mettere queste catechesi in rete, pensate alle vostre comunità di San Bernardo, San Michele e San Giovanni (che saluto con affetto insieme a tutti i collaboratori), pensate solamente a come queste catechesi o altro messo in rete possa essere motivo di confronto con coloro che (chiunque) possa accoglierle. La rete sicuramente è un campo che i cristiani devono saper abitare, con intelligenza però, perché il rischio è di creare una fede gnostica, una fede virtuale, non reale, non dobbiamo allestire una vetrina, dobbiamo trovare la piazza dove incontrare altri, perché tutti hanno bisogno di sentire l’annunzio del Vangelo; se una piazza è internet, quella va abitata, se una piazza è l’ospedale, l’ospedale va abitato, se la piazza è il cimitero (e sembra paradossale), quindi tutto quello che riguarda l’elaborazione del lutto, della morte, della sofferenza, anche quello va abitato, se la piazza è l’educazione (importantissima), quella va abitata. Capite, dobbiamo pensare a quali piazze noi siamo chiamati a portare il Vangelo, e annunziarlo con il confronto, con la dialettica, con coloro che la pensano in modo diverso, e che non sono sempre ignoranti, ma sono persone che hanno intelligenza, un’intelligenza diversa, che hanno un percorso di vita diverso, che non hanno mai conosciuto il Vangelo e Gesù Cristo, e per cui vivono come se Dio non ci fosse, ma magari vivono in modo onesto. E allora cercare di capire come poter parlare di loro; pensate in ambiente lavorativo, pensate a tutto lo slancio della dottrina sociale della chiesa per vivere quegli ambienti dove il proprio popolo spendeva molto tempo della propria giornata. Quali sono le piazze di oggi?
Ecco, lo conducono in questo aeropago dove c’erano gli aeropagiti (che erano un po’ la classe dirigente dell’epoca) per ascoltarlo. Paolo ha un’occasione d’oro, e allora guardate che cosa fa: dal versetto 22 al versetto 39. …(Lettura del testo)… Il primo passo che Paolo fa è quello che si dice letteralmente ‘captatio benevolentiae’, cioè cerca di parlare lo stesso linguaggio dei propri uditori: se fosse partito dalle Scritture dell’Antico Testamento avrebbe sbagliato perché loro sono totalmente estranei a quell’ambiente lì. Se vuoi parlare di Gesù Cristo a gente che non conosce Gesù Cristo incomincia a parlare e a chiedere loro dei propri figli, comincia ad interessarti della loro vita, comincia a far vedere che tu sei interessato non a vendere qualcosa ma a creare una relazione di fiducia, di accoglienza. Paolo parte alla lontana, prendendo come preambolo l’aspetto religioso, cioè il politeismo degli ateniesi e coglie l’occasione di un’ara (una specie di struttura riferita agli dei) dove c’è scritto Dio è ignoto. Ecco, lui si collega lì e dice “quell’ignoto io ve lo annunzio” – questo attira già l’attenzione di tutti. Ma Paolo non si ferma lì, guardate qual è il secondo passo che Paolo fa: versetti 24-26. …(Lettura del testo)… Paolo dice in modo elegante come si esce dall’idolatria: ‘Questo Dio ignoto che io vi annunzio è il dio che ha fatto il mondo, è il Signore e Creatore dell’universo, ed essendo il Signore e Creatore dell’universo non ha bisogno di niente. Ma proprio perché non ha bisogno di niente è lui che si pone come Provvidenza per ciascuno’. Ecco, questo Dio che io vi annunzio, questo Dio ignoto, è il Creatore (quindi la causa principale, il Senso della nostra vita) e Signore (cioè colui che non solo ti dà la vita e l’inizio ma te la mantiene e te la promuove fino al suo compimento) ed è Colui che è capace di prendersi cura di te personalmente. Capite che non è più la trasposizione -possiamo dire- della fantasia dell’uomo in un essere divino, quasi che questo essere divino come erano gli dei greci hanno tutti virtù e vizi degli uomini, no. Questo Dio è qualcosa di completamente altro, qualcosa che tu non puoi immaginare, che non è costruito da te, dalla tua storia, e che si prende cura di te. Ma continua Paolo, versetti 27-29. …(Lettura del testo)… Questo è importante come passaggio: non solo Egli è Signore e Creatore di tutto, ma Egli vuole entrare in relazione con gli uomini, ha messo nel cuore degli uomini la ricerca di Dio, ha messo nel cuore degli uomini la domanda su Dio. Allora la religione (cioè il senso religioso dell’uomo) è intrinseco, fa parte del suo DNA, non si può negare la dimensione spirituale dell’uomo. In nessun caso. L’uomo non può vivere semplicemente come un animale evoluto, perché l’uomo non è semplicemente un animale evoluto. “Egli è stirpe divina” -citando un poeta. Paolo è un genio: cita ciò che gli ateniesi conoscono. “E’ stirpe divina”. E perché è stirpe divina? E’ stirpe divina perché questo Dio ha voluto legarlo a Sé, facendolo quasi suo parente. “E noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”: Lui è il Senso non solo metaforico, non solo etico, non solo morale della mia vita ma esistenziale. Egli ha messo nel mio cuore il desiderio di essere cercato, di cercare Dio. L’uomo si identifica come colui che cerca e può trovare Dio. Dio può essere trovato. Dio può essere cercato. E andiamo avanti, ed ecco qua l’annunzio: come può essere trovato Dio? …(Lettura del testo)… Dio non è una semplice statua, non è idolatria. Cercare Dio è cercare come Lui si è fatto trovare. E come si è fatto trovare? …(lettura del testo)… Cambia il modo di pensare, cambia il modo di agire, cambia il tuo modo di essere. Egli non solo è Creatore e Signore, ma egli è Giudice, ma è Giudice -attenzione- “per mezzo di un uomo che Egli ha designato dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti”. Egli non dice Gesù, non usa la parola Gesù, ma “un uomo che egli ha designato”, cioè: Dio si fa trovare in Gesù; Gesù è il volto del Padre; Gesù è il narratore di Dio; in Gesù, Dio dice tutto se stesso, come creatore, come Signore, come giudice della storia. Egli (potremmo usare un’espressione del Concilio) diventa la chiave della storia, la chiave della storia universale, la chiave della storia personale.
…(Lettura del testo)… Sembrerebbe che Paolo abbia perso la sua battaglia, no, in realtà lui ha annunziato, e ha annunziato con questi tre passaggi fondamentali (e insegna anche a noi a parlare a persone che non sono cristiani): 1) non devi vendere niente, devi condividere una vita; e perché la vuoi condividere? Perché ti interessa la persona che ti ascolta, vuoi che la persona che ti ascolta possa ricevere una parola non buona, non solo vera, ma una parola di vita; 2) devi parlare la sua lingua, devi parlare la sua cultura perché un punto d’incontro ci deve essere, crea un ponte; creando un ponte cerca ciò che è essenziale nell’annunzio. E cos’è essenziale? Dio Creatore e Signore dell’universo (che non ha bisogno di templi per essere racchiuso); questo Dio Signore dell’universo vuole farsi trovare e ha immesso nell’uomo la domanda della ricerca di Dio. E perché vuole far questo? Perché l’uomo è sua stirpe, quindi c’è un legame, una relazione tra Dio e l’uomo. E come è possibile cercare e trovare Dio? Non solo con la riflessione intellettuale, non solo con un comportamento etico ma attraverso una persona che Dio ha designato per essere Colui che dice tutto di Dio, e lo dice in pienezza e lo dice nella sua completezza e verità: Gesù Cristo, il giudice della storia. E qual è il sigillo di questo ufficio che Gesù ha? L’essere risorto dai morti. Dio, in Gesù, è la vita, e io ti sto annunziando. Ecco, cari amici, ci aiuti il Signore ad essere coraggiosi nell’annunzio, a trovare le piazze dove poter fare questo annunzio di vita, parole di vita dobbiamo dire. E dobbiamo trovare anche linguaggi nuovi per annunziare verità eterne, perché tutti devono essere salvati. Ci aiuti in questo la Vergine Madre Maria.
Padre nostro…Recita del Rosario…
Settimo passo
Atti 20,17-38: La consegna del testimone
Oggi concludiamo, e vorremmo concludere con una pagina che poco viene letta, eppure se volete è la sintesi del nostro percorso. Paolo è alle ultime battute anche della sua vita: ha predicato tanto e questo è il terzo grande discorso di Paolo (nel primo, al capitolo 13 dal versetto 16 al versetto 41, lo abbiamo trovato ad Antiochia quando ha parlato agli ebrei in diaspora cioè dispersi nella zona ellenica, la zona greca; poi al capitolo 17 dal versetto 22 al 31 abbiamo visto che è ad Atene a parlare ai pagani colti, è proprio quello che abbiamo visto la scorsa volta). Ma oggi, al capitolo 20 Paolo a Mileto, sul porto, per imbarcarsi per Gerusalemme, lui parla ai cristiani. E parla in modo particolare ai responsabili della comunità, cioè a coloro che hanno un ministero, e in modo particolare a coloro che reggono la comunità, chiamati presbiteri (qui la parola presbitero o episcopo è fluida ancora, definiamoli i responsabili della comunità, coloro che devono guidare la comunità, ma in modo analogo lo si può dire per tutti coloro che svolgono un servizio nella comunità). E vorrei proprio che lo gustassimo questo brano, in modo semplice, perché guardate, io vi devo fare un grande ringraziamento: mi avete aiutato e dato l’occasione di condividere con voi la Parola, e quando si condivide la Parola di Dio ci si riconferma nella propria fede perché sappiamo che questo Dio non è un Dio astratto, un Dio filosofo, ma è un Dio che ama, ama concretamente. E qui si manifesta in tutta la sua forza.
…(Lettura del testo)… Sono le parole di addio di Paolo: come le parole di Gesù che abbiamo visto nel Vangelo di Giovanni dal capitolo 13 al capitolo 17, dicono la sintesi del proprio messaggio; sono parole importanti, parole che potremmo dire nascono dal cuore soprattutto. Ecco, vorrei proprio brevemente dare qualche flash per aiutarci a prendere il testimone di Paolo per andare avanti, perché di questo si tratta. Paolo va via, Paolo non sarà più nella comunità che lui ha fondato; andrà a Gerusalemme, e da Gerusalemme andrà a Roma, e a Roma morirà. Ora, la comunità si trova ad un bivio: Cosa facciamo? Senza Paolo, senza più il nostro fondatore carismatico, senza più il grande missionario. Ebbene, dobbiamo portare avanti quanto lui ci ha insegnato. Le comunità cristiane non devono essere legate a questo o a quel sacerdote; certo, più un sacerdote entra in sintonia con l’esigenza del proprio popolo più la comunità cresce e si edifica, perché lo Spirito Santo trova meno ostacoli per porre la sua azione santificante. Ma la comunità è troppo legata al personalismo. Siamo chiamati a portare avanti il messaggio che abbiamo ricevuto dai nostri padri, dagli Apostoli, e fare la nostra parte. Anche noi siamo chiamati ad essere realmente apostoli, anche noi siamo chiamati a costruire la comunità. Non è possibile dire “non mi interessa”, non è più possibile dire “non tocca a me”. Tutti siamo chiamati a dare il nostro contributo, ciascuno per la sua parte: chi ha una responsabilità in capo ne ha un peso, chi serve all’altare ne ha un altro, ma sono entrambi importanti, tutti insieme. Paolo chiama gli anziani della chiesa e professa il suo stile di vita: “Ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove e le insidie”. Paolo non nasconde che chi testimonia il Vangelo, chi predica la Buona Notizia di Gesù non può farlo per un rendiconto personale, non può farlo in modo autoreferenziale, non può prendere gloria dal Vangelo per avere il suo momento di importanza. “In umiltà”, cioè sapere di essere servo. E il servo è il modello che ha scelto Gesù, che da ricco che era si è fatto servo nostro. Vi ricordate come abbiamo iniziato la catechesi di Quaresima? Proprio con la lavanda dei piedi. Ebbene, Paolo lo vive appieno, pur non essendo stato all’interno del Cenacolo quando capitò questo; Paolo lo ha colto, lo ha vissuto, lo ha fatto proprio. Come Gesù ha lavato i piedi ai discepoli così lui ha lavato i piedi ai suoi fratelli. Servo, non padrone, servo. “Con umiltà ma anche tra le lacrime, le prove e le insidie”: sapere che chi annunzia il Vangelo non sempre troverà l’applauso, non sempre troverà un cammino dritto senza fatica. Non dobbiamo mollare la presa. La fatica che facciamo nell’annunziare il Vangelo non è una fatica persa, perché non è energia nostra, non è virtù nostra: è grazia di Dio. Questa grazia però va sperimentata: e allora penso alla fatica di un catechista per seguire i propri bambini, ragazzi, a volte nell’incomprensione con i genitori, a volte senza avere un feedback immediatamente positivo, quante lacrime, quante fatiche, quante prove; penso a un consiglio pastorale, quando non sempre si trova la quadra nel costruire il bene della comunità, quante contrapposizioni, quanti ideologie, quante volontà di sopraffazione, eppure si va avanti; penso a un povero prete che in mezzo alla sua comunità si trova un po’ disperso e a volte anche incompreso nelle sue scelte, e allora critiche, gelosie, invidie, a volte (che Dio ce ne scampi) maldicenze, eppure lui va avanti, va avanti predicando il Vangelo. Ecco, chi predica il Vangelo deve sapere che come hanno trattato Gesù tratteranno anche noi, ma questo non deve spaventarci: la testimonianza cristiana non nasce da avere l’applauso, uno non deve testimoniare Cristo perché gli altri ti possano dire “caspita, hai ragione, sei un mito, sei un fenomeno, io ti vengo dietro”. No, io testimonio Cristo perché mi ha preso il cuore, mi ha affascinato, mi sono sentito preso da lui, e non posso fare a meno che raccontarti la vita, una vita che trionfa sempre e ovunque. Ecco perché Paolo continua: “Non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile”: sì, Paolo non si è fatto mai indietro, Paolo non se n’è lavato le mani, Paolo non ha detto “Beh, visto che non ci capiamo facciamo così: voi fatevi un’altra vostra religione e io vado da un’altra parte”, no, tutto ciò che poteva fare Paolo lo ha fatto. Noi dobbiamo chiederci: i nostri progetti pastorali, i nostri consigli, le nostre iniziative, i tuoi slanci anche apostolici, sono orientati in questo essere utile in questo crescere per la comunità? “Al fine – dice Paolo – di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle case”: sì, perché c’è un momento di catechesi pubblica (che deve essere necessario, lo abbiamo detto nelle nostre catechesi) ma anche famigliare. Il Vangelo va spezzettato nelle case, i genitori, voi genitori siete i primi grandi catechisti, parlate di Cristo ai vostri bambini, fate leggere il Vangelo, leggetelo fra di voi, fate sì che la fede cristiana, la famigliarità con Cristo non sia qualcosa di estraneo che si aggiunge alla vostra vita come un vestito bello durante la festa, ma sia l’ordinario come lo spazzolarsi i capelli, come il fare colazione. E allora via le bestemmie (ovviamente), pregare prima di pranzo, di cena, le preghiere del mattino e della sera, il poter leggere il Vangelo. Perché non creare un angolo della casa con magari un’icona della Vergine santa, o un crocifisso, con un lumino. E al momento di dire insieme un Padre nostro non dovete fare grandi cose, ma un Padre nostro, accendere una candela, fare come se fosse una piccola liturgia, perché imparino la presenza di Dio. Noi abbiamo il dovere come educatori (in primis i genitori) di dare la vita spirituale a questi ragazzi. E guardate che è un investimento per il futuro. “Scongiurando giudei e greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo”: tutti sono chiamati alla Parola di Dio, tutti devono essere raggiunti da questa prorompente dal cuore amante del Signore, quella che ci fa convertire, cioè smettila di giocare alla tua vita come se tu fossi da solo, smettila di crederti il Padre Eterno, convertiti, gira volta e guarda non più te stesso ma guarda Lui, guarda questo Gesù, questo abbraccio eterno di Dio che è misericordia, che è verità, che è giustizia, che è libertà, che è bontà, che ti insegna a essere veramente te stesso, che dice l’identità di te stesso, che ti dà la chiave per capire la storia e anche il mistero del male e della sofferenza, perché Egli l’ha vinto con la sua Risurrezione. Ed ecco che Paolo continua, è avvinto dallo Spirito, cioè lo Spirito Santo non è solamente una preghiera devota che io faccio ma è la vita di Dio dentro di me. Fratelli carissimi, noi siamo spirituali, perché dentro di noi abita lo Spirito; il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, abita profondamente lo Spirito Santo in noi, per questo noi possiamo gridare Abbà Padre, per questo noi possiamo dire a tutti che Egli è Dio, che ci ama, che ci salva in Cristo Gesù e che ci santifica nel suo Spirito, per questo il volto di Dio lo possiamo riconoscere nei Sacramenti e nei fratelli. La comunità cristiana che celebra la sua fede, che si ritrova insieme, che condivide la fede, la speranza della vita eterna e la carità concreta: questo dà il volto di Dio. E’ avvinto dallo Spirito. E questo Spirito, è lui che ti dice i passi che devi fare, è lo Spirito che ti dice qual è il progetto da cogliere. Ma devi ascoltarlo. E vedremo alla fine come si fa. E lo Spirito dice a Paolo che in qualsiasi posto troverà “catene e tribolazioni”. Sì, non per punizione ma perché chi annunzia il Vangelo sa che c’è sempre una opposizione all’annunzio del Vangelo, fatto dal nemico infernale, fatto da una mentalità anticristiana del mondo, fatto dalle tue passioni e dalla tua miseria, dal tuo essere ribelle legato al peccato originale. “Catene e tribolazioni”: eppure Paolo, nonostante ci vada con una certa se volete anche vulnerabilità, non si affida a se stesso. E continua Paolo, versetto 24: “Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla”. Paolo dice “sono un servo, e se il Signore mi vuole ad Atene ad annunziare ai pagani (a quello che abbiamo visto poteva essere un fallimento) ben venga, se devo andare a Roma ben venga, purchè conduca a termine la mia corsa (quindi sia fedele a me stesso) non posso rinunciare a ciò che io sono. E che cosa sono? Sono di Cristo. Cristo è la mia vita. E allora essere fedele a me stesso significa essere fedele di Cristo, perché Cristo non è qualcosa che si è aggiunto ma è la mia stessa dimensione esistenziale, è il servizio che mi ha affidato. Qual è il servizio che ti ha affidato? Quante volte ci sono cristiani che dinnanzi alla prova si tirano indietro. E dicono “no, basta”. E ragionando di pancia, cosa fanno? “Io mollo tutto, ti arrangi”. Ma se il Signore ti ha chiamato a un servizio, se il Signore ti ha chiamato a compiere una sua volontà specifica verso qualcuno, un compito potremmo dire. E’ Dio che ti ha chiamato: e tu vuoi tirarti indietro? Se ti ha chiamato ad essere catechista non puoi tirarti indietro, se ti ha chiamato ad essere animatore non puoi tirarti indietro, se ti ha chiamato ad essere lettore non puoi tirarti indietro, se ti ha chiamato ad essere cantore non puoi tirarti indietro, se ti ha chiamato ad essere diacono non puoi tirarti indietro. Basta mettere sempre scuse, basta mettere sempre impedimenti allo Spirito. Sii fedele a te stesso, abbi coraggio e mettiti nelle mani di Dio: vedrai che nulla perderai, ma acquisterai tutto. E qual è il servizio che Paolo deve fare? “Rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio”: Paolo è un testimone che come lui ha ricevuto misericordia così anche altri, che Gesù (che lui perseguitava) l’ha redento, l’ha toccato, l’ha fatto suo apostolo, e Paolo non ne può fare a meno di Gesù, Paolo continua a proclamarlo con forza, a volte anche con durezza se vogliamo, ma sempre con questa passione d’amore verso Cristo. Ed ecco che al versetto 27 dice ”Non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio”: non puoi sottrarti a questo compito, e la volontà di Dio è che tu venga salvato, la volontà di Dio è che i beni di questa terra sono dei mezzi, quello che conta è la vita eterna. Ci pensi alla vita eterna? Pensi al Paradiso? Pensi a come il Signore ti stia preparando un posto nel cuore del Padre? E pensi come le scelte che tu fa in questa vita sono quelle che determineranno i passi eterni? L’eternità non può essere vissuta solamente al momento ultimo della morte, perché nell’Ave Maria preghiamo “adesso e nell’ora della nostra morte”: l’ora della nostra morte sarà un adesso ben preparato, non devi avere paura, ma devi sapere che la tua vita è orientata all’incontro con Cristo e che tutta la tua vita su questa terra non è nient’altro che un canto che grida “Marana tha” (“Vieni Signore Gesù”). Ecco perché è importante vigilare: “Vigilate” – due volte Paolo lo dice – “Vigilate, vigilate”; lo dice in modo particolare ai responsabili della comunità. Perché vigilare? Perché sorgeranno opposizioni dall’esterno e battaglie all’interno. Amici carissimi, ogni qualvolta noi ci distacchiamo dallo sguardo su Cristo ci concentriamo su noi stessi e pensiamo di diventare un assoluto. E allora portiamo idee perniciose, eresie, scismi, portiamo ideologia; persino la fede, i Sacramenti possono diventare campo di battaglia ideologico. Ma questo non è il Vangelo. Tu devi mantenere la fede così come l’hai ricevuta. E approfondirla nella sua ricchezza e nella sua grazia, sapendo che tutto ti è donato, e che tu non sei un possessore, ma sei un amministratore, un servo fedele ma veritiero. E l’ultima battuta, con cui anche chiudiamo questa nostra catechesi, ed è l’invito che faccio a me, ma faccio anche a ciascuno di voi, guardate che bello, è veramente quasi commovente, versetto 32: “E ora vi affido al Signore” – e fin qua dici va bene, ci affida al Signore (tutti noi siamo affidati al Signore) – “e alla Parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati”: attenzione, Paolo non dà la Parola ai discepoli come se fosse un deposito da custodire, no, dice “voi siete custoditi dalla Parola”; la Parola è la grazia che ha un potere di edificare e di concedere l’eredità della santificazione. Ecco, la Parola di Dio non è qualcosa che tu puoi leggere così semplicemente, ma è ciò a cui l’apostolo in nome di Cristo ti ha affidato. La comunità cristiana deve leggere la Parola, deve costruirsi sulla Parola, perché essa ha il potere di edificare: nelle scelte, nelle decisioni, nell’assunzione dei vincoli e degli uffici, e di concedere così l’eredità. La Parola di Dio. Sei custodito dalla Parola di Dio. Non sei il proprietario della Parola di Dio, ma sei il servo della Parola di Dio. “Detto questo si inginocchiò con tutti loro e pregò”: ecco, come Gesù, anche Paolo termina il suo bellissimo discorso d’addio inginocchiandosi e pregando. La preghiera, amici miei, è ciò che ci rende realmente discepoli di Cristo. Uno potrebbe dire “perché la preghiera e non la carità?”: non c’è una senza l’altra. La preghiera mostra che nel tuo cuore è vivo Gesù, perché c’è un rapporto intimo con Lui, c’è un rapporto personale con Lui. Coltivare la preghiera significa coltivare la propria fede. Con la parola di Dio. Si prega la Parola di Dio. Si prega con la Parola di Dio. E il Rosario che in questo mese di maggio è così grandemente pubblicizzato è una piccola lectio divina perché è solo Parola di Dio. Il Padre nostro, l’Ave Maria, e i vari Misteri. Allora, amici carissimi, vogliamo lasciarci con questo testimone, sapendo che Gesù è con noi e che l’Apostolo ci affida a Lui e alla sua Parola. E noi dobbiamo custodire questa Parola e lasciarci custodire da essa, e non tirarci mai indietro quando Egli ci chiamerà. E se il Signore chiama qualcuno di voi, ebbene, non fate nient’altro che dire “Eccomi, manda me”. Che il Signore vi benedica, vi protegga e vi custodisca sempre nel Suo Amore.
Padre nostro…
BUON VIAGGIO A CIASCUNO DI VOI.