Esercizi spirituali 2021 – Seconda meditazione

IL DESIDERIO INTERCETTATO (Mc 10,46-52)

Un saluto a ciascuno di voi, ai fedeli della parrocchia (san Giovanni, san Bernardo, san Michele), alle carissime suore di sant’Anna, ai tanti amici che ci stanno seguendo attraverso questa diretta di facebook o coloro che ci seguiranno in differita, al carissimo don Giovanni a cui va tutta la mia gratitudine e stima per quanto sta facendo, a ciascuno di voi. Stiamo insieme camminando, stiamo spezzando in modo semplice la Parola di Dio per prepararci con cuore rinnovato alla Pasqua del Signore. Quello che conta non sono tanto le mie parole ma il poter controllare che tutto vada per il verso giusto. Abbiamo fatto il primo passo, “Il desiderio sfamato”: il desiderio sfamato ci aiuta a sfamare quella memoria dell’insufficienza attraverso l’opera della condivisione. Condividere ciò che abbiamo, ora, nella nostra realtà, ciò che noi siamo. La condivisione è fondamentale.

Vediamo il secondo passo, e lo vediamo insieme perché è un passo molto bello, a me piace molto questo brano del Vangelo, ne parlo spesso perché mi pare, in modo particolare in questo nostro tempo, fondamentale. Siamo al capitolo 10 del Vangelo di Marco dal versetto 46 al versetto 52. E’ il brano che conclude il grande miracolo di Gesù, i diversi miracoli di Gesù, prima dell’entrata a Gerusalemme.

Lettura del brano di Vangelo

Questo è il brano di questa sera: se volete, otto versetti brevi, semplici, immediati, ma che condensano una ricchezza enorme per la nostra vita. Innanzitutto è l’ultimo miracolo di Gesù e anche l’unico della seconda parte del Vangelo di Marco. E’ un miracolo particolarmente importante perché conclude l’attività di Gesù. Dopo questo miracolo Gesù entra in Gerusalemme e ci saranno sei giorni, sei ultimi giorni di Gesù. Vedremo alla fine questo dato importante: i 6 ultimi giorni del Signore. Ecco, come i 6 giorni della Creazione: 6 ultimi giorni della vita di Gesù, 6 giorni della Creazione. E come il primo giorno della Creazione fu la Luce, così questo miracolo ci chiede di vedere, ci chiede di trasformare i nostri occhi per vedere la Luce. Il miracolo è quello di darci l’occhio, la vista, la vista di vedere le cose. E noi lo diciamo popolarmente: “è uno che ci vede bene”, cioè è uno che sa, che sa non perché è un erudito, un intellettuale, ma è uno che ha compreso come funziona la realtà, sa parlare bene della realtà, sa abitare bene la realtà, sa viverla bene. Vediamolo passo passo, quasi spezzettandolo se volete. 

“E giunsero a Gerico”: Gerico è una città famosa nell’Antico Testamento, Gerico era una città imprendibile, Gerico è stata presa con quel grande atto di fede da parte di Israele girandole attorno per 7 volte, in silenzio e poi suonando le trombe, facendo crollare le mura di Gerico. Gerico è posta proprio al confine della terra promessa, potremmo dire che Gerico rappresenta l’impedimento, l’ostacolo da superare per entrare nella terra promessa. “E giunsero a Gerico”, ecco: per comprendere il miracolo di questa sera dobbiamo affrontare ciò che ci impedisce di entrare nella terra promessa, ciò che ci impedisce di vivere questa nostra vita con la luce della fede. La luce della fede ci rende compassionevoli perché ci rende capaci di guardare dove guarda Dio. E’ importante questo. Qualche anno fa – mi pare nel 2018 – a causa della drammatica e terribile ferita della pedofilia, che ha colpito la Chiesa e che ha fatto sì che ministri della Chiesa abbiano avuto un atteggiamento e degli atti assolutamente ingiustificabili della violazione dell’innocenza, Papa Francesco scrive una lettera a tutto il popolo di Dio, non solo a qualche nazione. E ripete questo ritornello che a me ha colpito molto, che mi ha fatto pensare e che mi ha fatto anche riflettere: chiede perdono a nome di tutti perché “non abbiamo saputo guardare dove ha guardato Dio”. Ecco, il problema del cristiano oggi non è “che cosa dobbiamo fare”. E’ il passo seguente rispetto alla catechesi spirituale della catechesi precedente, dove dobbiamo condividere il nostro reale, il nostro oggettivo, ciò che abbiamo ma senza cadere nella psicosi del “cosa dobbiamo fare? cosa dobbiamo progettare? come possiamo cambiare la realtà?”, come se fossimo noi gli autori del mondo nuovo. No, non dobbiamo cambiare niente se non il nostro sguardo. “Donaci occhi per vedere le necessità, le sofferenze dei fratelli” direbbe il prefazio della Liturgia. Ecco, cambiare lo sguardo: quando una persona è nella tribolazione, nella prova, nella sofferenza il suo sguardo è triste, il suo sguardo è diverso. E ce se ne accorge, il tuo sguardo mi dice molte cose. Cambiare lo sguardo. Saper guardare dove guarda Dio. Ecco, Gerico è il luogo che noi dobbiamo affrontare. Che cosa impedisce alla tua fede di fare quel salto di fiducia per cui puoi dire “ecco, Signore, mi metto dinnanzi a Te”. Credi tu realmente che il Signore possa cambiare la tua vita? Credi tu realmente che il Signore esista, che Dio ci sia? Non solamente come memoria di una cultura religiosa cristiana ma come realtà viva, contemporanea, che può entrare nell’azione con te. Ecco, mentre parte da Gerico, insieme ai suoi discepoli – quindi c’è Gesù che parte e dietro a Lui i suoi discepoli e molta folla – abbiamo un tizio, chiamato figlio di Timeo (Timeo era il padre), Bartimeo, che era cieco, e sedeva lungo la strada a mendicare; sono tre caratteristiche importanti della nostra vita cristiana. Bartimeo, che rappresenta ciascuno di noi, era cieco: non vede, è nel buio. Quanto nostri fratelli vivono nel buio. Lo accennavo prima pregando nel secondo Mistero della Gioia, chiedendo alla Vergine Santa di poterci venire a visitare. Essere nel buio. Stamattina parlavo con un giovane papà che si trova in una situazione particolarmente difficile, mi diceva “sono in un tunnel, sono nel buio”. Quando sei nel buio non solo non sai che cosa ti circonda ma non sai neanche dove ti trovi. Essere cieco significa non sapere chi sei, dove sei, cosa c’è intorno a te. E l’essere cieco ti impedisce di progettare il tuo futuro. L’ombra è definita, in modo parossistico, alla morte. Questo Bartimeo non può camminare, è seduto. Quanti nostri fratelli sono seduti in una situazione di stagnazione, in una situazione in cui non si riesce a rialzarsi, in cui fondamentalmente siamo ripiegati sull’ “ormai è così”, siamo arresi sull’ “ormai è così”. Ebbene, questo Bartimeo è cieco ed è seduto, e cosa fa? Mendica, cioè tende le mani perché qualcuno possa fare qualcosa per lui. Eppure nessuno fa nulla. Ecco, la compassione di questa nostra sera ci fa accorgere che tutti noi siamo dei ciechi seduti, mendicanti di affetto, di attenzioni, di relazioni. Quante volte basta che non ci danno il giusto riconoscimento di quello che facciamo, usciamo dalla comunità sbattendo la porta. No, siamo dei ciechi. Quante volte giudichiamo gli altri – il comportamento, le situazioni – diventiamo dei crocifissori delle fragilità e delle debolezze degli altri, e non ci rendiamo conto che siamo dei ciechi. C’è una lettera nell’Apocalisse che dice “credi di essere ricco, in realtà sei povero, nudo, cieco. Compra da me il collirio perché tu possa vedere e coprire la tua nudità”. Dobbiamo comprare dal Signore il collirio per avere occhi nuovi, perché per trasformare questa realtà che ci circonda non dobbiamo semplicemente fare delle cose come dei protagonisti, ma vederle in modo diverso, cambiare la prospettiva, sapere che il nostro sguardo è quello di Dio. Ecco, è cieco, cieco, seduto e mendica. Ma Bartimeo ha una qualità: ci sente bene, e quando sente che arriva Gesù nazareno cosa fa? Grida. Questo è un invito a tutti coloro che si sentono stanchi: grida al Signore! Grida! “Ma cosa devo gridare?” Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. Capite? Gridare, gridare al Signore. Quasi tutti i Salmi son un grido al Signore: “dal profondo grido a te, Signore”. Ecco, saper gridare significa saper tirare fuori dal proprio cuore, dal proprio animo, dalla propria passionalità quell’elemento, quel nodo che io non so risolvere, ma che mi impedisce di essere me stesso, mi fa restare cieco, mi fa essere seduto, mi fa essere mendicante. E io grido al Signore: “figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Una preghiera meravigliosa, che condensa tutte le preghiere. “Figlio di Davide” – e qui c’è tutto il riferimento alle promesse dell’Antico testamento che si compiono. Voi sapete che Bartimeo nel Vangelo di marco è l’unico che chiama Gesù per nome? E’ l’unico. Ha l’onore di chiamare Gesù per nome. “Gesù, abbi pietà di me”: abbi pietà, non solamente abbi compassione nel senso pietistico, ma abbi pietà. C’è qualcosa che mi impedisce di essere me stesso, che mi ostacola, che mi lega, che è una catena. Io sono schiavo, sono in gabbia, non riesco ad uscirne. Abbi pietà di me, apri la mia gabbia, apri la mia prigione. Pensate a tutte la prigioni che noi abbiamo del rancore, della rabbia, dell’aggressività, della violenza, della lussuria, della vanagloria, pensate alla gabbia della maldicenza, della menzogna, del furto, del tradimento, pensate alla gabbia della ribellione contro Dio che ci ha aperto a forme magiche-esoteriche di superstizione, pensate ai nostri vizi. Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. Ecco vedete, uno potrebbe domandarsi qui: come mai tante volte mi confesso e non cambio vita? Perché non vado alla radice del punto: confesso il mio peccato e sono magari pentito per quel mio peccato ma devo andare anche alla radice, devo capire cos’è che mi impedisce di essere realmente capace di entrare nella terra promessa, devo distruggere le mura di Gerico, conquistare Gerico e trapassare Gerico. Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E quando tu gridi al Signore, e quando tu vuoi veramente la liberazione per te o per i tuoi cari, non badi a quello che c’è intorno a te. Noi siamo troppo concentrati su quello che la gente pensano di noi, su quello che gli altri potrebbero dire se mi vedessero troppo in chiesa, se pregassi in modo evidente, se se se. E infatti, quando lui comincia a gridare, molti lo rimproveravano perché tacesse. E perché lo rimproverano? Lo rimproverano perché chi grida, chi ha veramente bisogno del Signore rompe gli schemi, non è uno che se ne sta quieto e tranquillo al suo posto, è troppo importante: il suo desiderio deve essere accolto, deve, perché è l’unica chance per lui per essere vivo, per risorgere. “Ma egli gridava più forte”: ecco, questo è un invito alla nostra preghiera, la nostra preghiera che deve essere una preghiera perseverante. Noi abbiamo un concetto un po’ magico della preghiera, e noi sacerdoti lo sperimentiamo soprattutto quando le persone ci chiedono di pregare per loro: vogliono una preghiera, ci chiedono una preghiera ma pensano che facendo una particolare preghiera, un particolare rito, una particolare formula il problema si risolva facilmente. Abbiamo una visione magica della preghiera per cui se io prego tante preghiere sicuramente il Signore mi ascolta e mi esaudisce come voglio io, dove voglio io, quando voglio io; per cui noi vogliamo con la preghiera in realtà piegare la volontà e l’onnipotenza di Dio a nostro vantaggio. No, la preghiera deve aiutarci a trasformare il nostro sguardo, il nostro cuore. C’è una cosa che ho imparato sulla preghiera cristiana, e per me è stata una scoperta, potremmo dire una doccia fredda: la preghiera cristiana funziona in modo straordinariamente potente – e io l’ho toccato con mano – quando io, tu, colui che prega è totalmente impotente, cioè lui non può farci nulla. Quando tu non puoi fare nulla, non puoi intervenire, quando non c’è niente di tuo – niente – ma l’unica cosa che fai è affidarti alla Vergine Santa, a Gesù Cristo per quella persona, cioè ciò che diventa importante è mettere dinnanzi al cuore di Cristo per intercessione di Maria una determinata situazione per una persona concreta che ha un volto, che ha un nome, e farlo  con quella spontaneità, semplicità, immediatezza tipica della confidenza, io vi assicuro che lì si ottiene il miracolo, si ottiene quella potenza della preghiera che non ti aspetteresti. Mentre ogni qual volta tu vuoi quasi essere il padrone della preghiera il tuo grido viene soffocato, il tuo grido diventa afano. Invece noi dobbiamo gridare: figlio di Davide, Gesù, abbi pietà. Ecco, “Gesù” – bellissimo “si fermò”: Dio si ferma sempre ad ascoltare le nostre preghiere. “Siano i tuoi orecchi attenti all’ascolto della nostra preghiera”. Vi ricordate come inizia il libro dell’Esodo e quindi come è iniziato anche il nostro cammino quaresimale: c’è un popolo schiavo in Egitto che grida a Dio, e Dio dice a Mosé: “Ho udito il grido del mio popolo schiavo in Egitto, ne ho avuto compassione e sono sceso per liberarlo”: ho udito il grido, ho avuto compassione e sono sceso a liberarlo. Questo è il procedere di Dio. Noi non dobbiamo solamente far sì che le nostre mani non rimangano in tasca – devono essere operose per condividere ciò che abbiamo, questa è la prima grande meditazione che abbiamo fatto – ma dobbiamo anche avere orecchie buone e occhi limpidi per poter vedere ciò che il Signore ha preparato per noi e per i nostri fratelli. Sentire il grido, vedere colui che grida a noi. Ecco infatti che Gesù si ferma e dice “chiamatelo”: Gesù ti chiama, Gesù vuole incontrarti, Gesù non è indifferente a quello che tu dici, Gesù vuole parlare con te, stare con te. “Chiamatelo”. E allora guardate come il tono è cambiato: “Chiamarono il cieco dicendogli: coraggio, alzati, ti chiama”. Interessante, quegli stessi che poco prima gli dicevano di tacere, ora invece, incoraggiati dal Signore, gli dicono “coraggio” – cioè muovi il tuo cuore, alzati dal tuo stare seduto – “Egli ti chiama”. Per incontrare il Signore bisogna avere il coraggio di alzarsi dalla propria tribolazione e prova. Non significa risolverla, ma alzarsi, stare in piedi. E sentite cosa succede, versetto 50: “Egli, gettato via il suo mantello balzò in piedi e venne da Gesù”. Egli gettato via il suo mantello: il mantello era per il povero l’unica sua ricchezza, l’unica sua coperta, l’unica sua custodia. E qui per esempio potremmo fare tante digressioni interessanti: tutti noi abbiamo una coperta di Linus, tutti noi abbiamo un qualcosa che ci custodisce, una certa metodicità, una certa abitudine nella religione, nella fede, nella pratica religiosa, addirittura abbiamo trasformato dei segni religiosi in amuleti – pensate al Rosario al collo. Ognuno di noi ha la propria coperta, quel qualcosa che gli dà sicurezza, quel qualcosa che lo custodisce, che gli dà protezione. Gettalo via, gettalo via, non ne hai bisogno, non hai bisogno di cose che siano dei surrogati di Gesù Cristo, non hai bisogno. In questo tempo di Quaresima io non so quanti di voi abbiano pensato di fare qualche penitenza: una penitenza sicuramente che avremmo potuto fare è limitare l’uso del cellulare. Certo, uno potrebbe dire “ma come siamo già in quarantena, siamo già in isolamento, non possiamo vederci, non possiamo sentirci, e tu padre ci dici di limitare anche il cellulare? E’ l’unica mia forma di comunicazione. Vero, non ti sto dicendo però, amico mio, di spegnere il cellulare per 40 giorni e sparire dalla circolazione. Ti sto dicendo di fare attenzione alla dipendenza, a far sì che questo cellulare non diventi il tuo idolo, diventi ciò che ti dia sicurezza, per cui se non vedi dei messaggini “nessuno mi chiama, nessuno mi vuole”. Siamo schiavi dei ‘like’, siamo schiavi delle faccine, siamo schiavi di tanti segni di comunicazione per cui costantemente, come ragazzini di 12-13 anni, noi adulti siamo con questo cellulare in mano in ogni dove. E’ vero che è uno strumento importante, noi lo stiamo usando proprio perché non possiamo vederci; infatti non sto dicendo di eliminarlo, sto dicendo di saperlo limitare. Lo so che fa parte ormai della vita quotidiana, ma non deve diventare l’idolo, così come non deve diventare l’idolo il computer, così come non devono diventare l’idolo altre cose. E se smetto di usare il cellulare cosa posso fare? Prova a leggere un libro, prova a parlare con qualcuno, prova a condividere un’idea. La nostra intelligenza necessita di essere nutrita, ma non di sciocchezze: leggere è importante, i nostri ragazzi leggono poco, ma anche noi adulti. Anche se questo non è propriamente spirituale, ma chiedetevi qual è l’ultimo libro che avete letto. Perché se aspettate solo l’estate per leggere un libro diventa un po’ dura. E’ vero che i tempi della nostra vita sono frenetici ma nessuno ti chiede di leggere un libro alla settimana, però tenere in esercizio la mente con una lettura intelligente è fondamentale. Chiedete anche a don Giovanni qualche libro spirituale che si può leggere così tranquillamente: la vita dei santi – a me piace tantissimo leggere la vita dei santi, ti ricaricano perché sono veramente dei personaggi che hanno saputo trasformare la propria vita – ma anche leggere qualcosa di più impegnativo, proprio per evitare di essere superficiali. Abbiamo bisogno di vederci bene per non essere superficiali. Ieri dicevamo che Dio benedice nella profondità: ecco, sì, bisogna andare in profondità. Ebbene, “egli gettato via il suo mantello” – guardate cosa fa – “balza in piedi”: balza, non solo si alza, balza. E’ una frase bella questa, quasi potremmo dire fa un salto. “Hai mutato il mio lamento in danza” dice il Salmo: il mio abito di sacco in abito di festa. E’ questa la grandezza della fede: saper mutare ciò che è triste, angosciato, ciò che è morte in vita. Attraverso la preghiera, attraverso la condivisione fraterna, attraverso anche la richiesta di preghiere. E’ vero che i nostri sacerdoti sono tanto tanto tanto impegnati, non sempre hanno il tempo per ascoltare tutti, ma se magari con un po’ di buonsenso ci si mette d’accordo: voi avete la grandezza di avere delle consorelle – le suore di sant’Anna – e non so se avete mai letto niente della beata Enrichetta; io grazie a loro, perché ho dovuto predicare degli esercizi a loro, ho dovuto studiare le opere critiche della beata Enrichetta, una donna straordinaria. Avete una grandezza nella vostra parrocchia che non potete trovare altre scuse. Perché parlo delle suore? Perché potete chiedere anche a loro “può pregare con me?”. Non solo c’è la preghiera sulla persona – e questa la fa il sacerdote – ma pregare con, non solo pregare ‘per’ ma pregare ‘con’. E allora finalmente la consorella religiosa, il sacerdote, il religioso non fa semplicemente qualcosa di apparente ma va al centro, va al cuore della vicenda e con la persona prega, l’aiuta nel cammino spirituale. Molto spesso la direzione spirituale si trasforma in un colloquio psicologico: noi religiosi, sacerdoti, non dobbiamo fare gli psicologi perché i cammini psicologici sono qualcosa di serio, necessitano una preparazione, uno studio. Non abbiamo bisogno di far gli psicologi, abbiamo bisogno di sacerdoti, di religiosi e religiose che condividano una fede, che condividano la speranza. E la preghiera che si fa non sia semplicemente un vociare ma sia questo lasciare il mantello, il balzare in piedi e l’andare da Gesù. Lasciare ciò che è la nostra sicurezza, balzare in piedi animati dallo Spirito e sapere che solo Gesù compiere il nostro miracolo. E’ la condivisione di questa speranza che fa di noi padri e madri. Questo lo dico ai religiosi, sacerdoti, ma lo dico anche ai catechisti, ai genitori: voi siete responsabili anche della parte spirituale dei vostri figli, dei giovani, dei ragazzi che il Signore vi ha affidato. Certo, non potete fare tutto ma nella vostra piccola parte, nel vostro pezzettino siete chiamati. E come potete condividere ciò che voi non avete dentro? Nessuno dà ciò che non ha. Non si tratta di essere dei fenomeni, dei santi, dei mistici: si tratta di essere dei poveri che condividono la propria povertà sapendo dove guarda Dio, sapendo ascoltare ciò che ascolta Dio, per parlare come parla Dio. Ecco allora: che cosa dice il Signore? Torniamo al punto, versetto 51, una domanda che il Signore oggi rivolge a me, ma rivolge anche a ciascuno di voi: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E’ una domanda non retorica, Gesù non perde tempo a fare della retorica. “Che cosa vuoi che io faccia per te”, qual è il tuo più profondo desiderio? Al Signore certo che chiediamo tante cose – perché noi di tanto abbiamo bisogno – ma qual è quel punto, qual è quella perla, qual è quel dato della tua vita che solo unicamente il signore può esaudire, qual è il tuo desiderio? Desiderio – l’ho già detto più volte – è il guardare le stelle, non è solamente stare con gli occhi per aria, non è utopia. Qual è il tuo profondo desiderio: essere amato? essere perdonato? perdonarti? C’è qualcosa di cui non ti perdoni? C’è qualcosa che hai fatto, di cui hai ancora sul groppone tutto il peso della tua azione, e non ne hai mai parlato con nessuno? O se ne hai parlato, magari velatamente, in modo nascosto, tra le righe? C’è qualcosa che continua a tormentarti? Che periodicamente viene a bussare alla tua porta? Qual è il tuo profondo desiderio di guarigione, di liberazione? Qual è il tuo profondo desiderio di vita? La potenza della fede nella Resurrezione del Signore Gesù tocca proprio quel desiderio. “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E guardate che cosa risponde Bartimeo: “Rabbunì” – cioè maestro mio – “che io veda di nuovo”. Scopriamo un dato interessante della cecità di Bartimeo: non è una cecità dalla nascita, Bartimeo vedeva, e poi è diventato cieco. Che io veda di nuovo, che io veda nuovamente, non più con gli occhi di prima, non più con la vista di prima, ma con una vista nuova, con occhi nuovi. Che io possa vedere la parrocchia con occhi nuovi, che io possa vedere la chiesa con occhi nuovi, che io possa vedere l’Eucaristia con occhi nuovi, che io possa vedere la vita con gli occhi nuovi, che io possa avere occhi nuovi per vivere delle relazioni di amicizia autentiche, fatte di perdono, di comprensione, di onestà nelle parole. La bocca parla dall’abbondanza del cuore, amici miei, e il cuore manifesta ciò che noi vediamo. Che cosa vedi quando vedi la tua parrocchia, quando vedi la tua vita, quando ti guardi allo specchio? Al di là di vedere un bell’uomo, una bella donna. Che cosa vedi? Ecco, fai attenzione a far sì che la tua vita non abbia solo uno sguardo giudicante e insufficiente. Basta fare memoria dell’insufficienza ci siamo detti ieri. Che io veda di nuovo.  E Gesù dice “Và, la tua fede ti ha salvato”: Che risposta è questa? Gesù lo dice spesso che è la fede quella che salva. La fede salva perché è un atto di fiducia in Gesù. Quando tu poni dinnanzi al Signore Gesù il profondo desiderio che è in te e che tocca la tua vita è che tu sai che Gesù può compiere il miracolo di Risurrezione. E questa tua fede in Lui compie la salvezza. “E subito vide” – interessante – “subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”: non solo vede ma diventa anche lui un suo discepolo. Ecco, questo è il brano di questa nostra sera. Ora in questi 10 minuti che ci rimangono, vogliamo concretizzarlo in un impegno, innanzitutto l’impegno spirituale, e poi un impegno più pratico: l’impegno spirituale è quello di mettersi oggi e domani un momento in un posto isolato – che sia la propria stanza, che sia lo studio, che sia la camera, che sia un giardino, che sia un luogo dove fondamentalmente posso creare il silenzio – esperienza non facile. Prendo un quarto d’ora – non 10 minuti, non mezz’ora: per 15 minuti io spengo il cellulare, non ho cuffie con me, sono isolato; i primi 5 minuti cerco di fare silenzio dentro di me – e vedrete che la mente esploderà di pensieri, succederà di tutto, faccio silenzio, faccio respiri profondi – gli altri 5 minuti ripeto una delle frasi di questo Vangelo. Potrebbe essere “figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me” – seguendo il respiro – e questa è l’antica preghiera del pellegrino russo. Con calma, ruminare questa parola. Oppure un’altra “Signore, che io veda di nuovo”. Ecco, 15 minuti, gli altri 5 minuti di ringraziamento per le cose che Dio ti ha già dato, e per le cose che Dio ti ha già dato e che tu non ti sei neanche reso conto. Ringrazia per il dono della vita, della fede, della famiglia, della salute, del lavoro, dell’amore, delle relazioni, dell’amicizia, del tuo stato matrimoniale, del tuo stato sacerdotale, della tua vita religiosa, delle tante esperienze belle che hai fatto e anche delle più tristi, più faticose. Ringrazia. Grazie Signore Gesù. Se puoi enumerale, se puoi parlane. 5 minuti. Primi 5 minuti cercare di fare silenzio dentro di sé, altri 5 minuti la ripetizione di una di queste frasi evangeliche di questo brano, altri 5 minuti il ringraziamento per quanto il Signore ha suscitato in te in questa tua riflessione, che ti ha riportato alla memoria. Questo è l’impegno spirituale. E poi c’è l’impegno concreto: guarda dove Dio sta guardando, guardati attorno, guarda la tua famiglia, guarda la tua parrocchia, guarda, posa lo sguardo e vedi dove c’è bisogno di te. Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli. Non voltare lo sguardo. Non siamo tutti sulla stessa barca, c’è qualcuno che dalla barca è già in mare. Guarda, guarda, guarda nel tuo paese, nella tua città, nel tuo comune, nel tuo lavoro, guarda chi ha bisogno. E dopo che ho guardato? Vedi se puoi fare qualcosa. Magari potrai solo pregare per lui, o magari ha solo bisogno di essere ascoltato, magari ha solo bisogno di condividere con te il suo peso. Non tirarti indietro, parla con lui del Signore Gesù, condividi concretamente la tua fede, non perché noi siamo dei fenomeni ma semplicemente perché noi siamo dei credenti, noi non possiamo, non dobbiamo dimenticarci mai che noi siamo credenti, noi in questo mondo accendiamo sempre una luce che illumina, perché? Perché vogliamo ancora dire che Dio c’è, che Dio non ha abbandonato i suoi figli, e che nonostante tutto – il buio, l’essere seduto, il mendicare – Dio passa accanto a te, Dio passa e vuole fare con te amicizia, vuole con te ascoltare il tuo grido e aiutarti a essere te stesso. E’ importante questo, amici miei: vedere, vedere dove Dio ti porta, vedere cosa tu puoi fare per i tuoi fratelli. Non mollare mai la preghiera, non mollare mai questa attenzione di carità. Capite perché è importante avere orecchi e occhi buoni, non solo fare delle cose. Bartimeo ci insegna questo: la grandezza della fede. Nella scheda che voi troverete, alla fine, c’è la conclusione che sintetizza: questo miracolo contiene tutti i miracoli propri. Vivere alla luce è il nascere, il vero miracolo è la fede. Quando uno conosce l’amore di Dio per lui, finalmente vive come figlio, come fratello. Allora il problema della vita non è tanto cosa bisogna cambiare. No, il vero problema è vedere, l’unica cosa da cambiare è cambiare testa, cambiare il modo di pensare, vedere poi tutto il resto che segue. Non è da cambiare il mondo per farlo quadrato, va bene così, se gira così va bene che faccia i suoi giri. Il problema è un altro: vedere come gira, che senso ha l’insieme, questo è il dono che Dio fa ai suoi figli. E che noi viviamo da fratelli, ed ecco questo mondo è luminosissimo. Se no non si capisce perché si è al mondo. La fede diventa un cammino, un vedere, un camminare. Il cammino del figlio diventiamo come lui, ed è questo il dono che il Vangelo ci vuol fare, fin dal principio: essere figli nell’unico Figlio, e dunque fratelli tra di noi, capaci di vedere dove Dio vede e di portare luce per cambiare sguardi finora ottemperati. Ecco, amici carissimi, tante sono state le sollecitazioni e spero che possa esservi sempre utile quanto noi stiamo facendo. Non dimenticatevi mai che sempre siete nelle mie preghiere, ma sempre ci sono tanti che pregano per voi, con voi e soprattutto che lo Spirito Santo agisce in voi. Non mettetelo in cassa integrazione, fatelo lavorare lo Spirito Santo. Vedrete, vi sorprenderà nella sua potenza. Perché? Perché il Signore vi chiama. Coraggio allora, alzati, Gesù ti chiama. Padre nostro…

I TESTI

46 E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47 Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. 48 Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.49Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. 50 Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51 Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. 52 E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Questo brano è l’ultimo miracolo di Gesù e che è anche l’unico della seconda parte del Vangelo. È un miracolo particolarmente importante perché conclude l’attività di Gesù. Dopo questo miracolo Gesù entra in Gerusalemme e cominciano sei giorni, gli ultimi sei giorni della sua vita, che richiamano i sei giorni della creazione. Come il primo giorno della creazione fu la luce, qui siamo prima del primo giorno e prima del primo giorno fa l’occhio per vedere la luce.

Il miracolo è quello di darci l’occhio, la vista. Ora è il problema fondamentale dell’uomo, noi siamo sempre preoccupati: cosa c’è da fare, come cambiare la realtà, in realtà c’è poco o nulla da cambiare al mondo, poco o nulla, anzi se avessimo cambiato di meno, sarebbe meglio, certe cose cambiano per conto loro. Il vero problema non è cambiare, ma avere occhi diversi per vedere la realtà, il vero problema è con che occhio guardo.

La fede non è qualcosa di strano, di uno che ha visioni, allucinazioni, ma è vedere la realtà con l’occhio di Dio. Questo è il grande miracolo, con l’occhio di Dio che è amore, è simpatia verso tutto e verso tutti, che ama tutte le sue creature e le avvolge della sua luce, ecco vedere tutto così è essere nati.

La luce non cambia nulla della realtà, se qui spegnete la luce, tutto è uguale a prima, ma è tutto diverso, la realtà c’è ma fa male, ci si sbatte contro; la luce, invece, ti fa vivere la realtà com’è e capirla e amarla e rapportarti in modo corretto. Tutti i mali che abbiamo vengono da questo rapporto non corretto con la realtà.

Questo miracolo è il conclusivo di tutti i miracoli e Gesù domanda: “Cosa vuoi che io faccia per te?” e a questo punto del Vangelo il discepolo dovrebbe sapere cosa volere, volere la vista. La stessa domanda che questa sera Gesù fa al cieco di Gerico, l’abbiamo visto giovedì scorso, è la stessa che Gesù fa a Giacomo e Giovanni: “Cosa volete che io faccia per voi?”.

 

Quelli volevano stare uno alla destra e uno alla sinistra nel suo Regno e allora c’è tutta la discussione sulla gloria. Il problema riguarda proprio la cecità “Cosa vuoi che io faccia per te?”. Quelli volevano la gloria, una alla destra, l’altro alla sinistra e Gesù spiega che la sua gloria – “Non sapete quel che chiedete” – sarà la croce. Questo chiede di vedere e d’ora in poi tutto il Vangelo avrà come tema dominante il vedere, la croce sarà tutto vedere, la Resurrezione sarà tutto vedere.

Fino a quando uno non vede l’amore assoluto di Dio per lui, non ha ancora capito il senso della sua vita, la sua dignità, non è ancora venuto alla luce, non capisce perché è al mondo. solo vedendo la passione di Dio per lui viene alla luce e la luce è l’amore che Dio ha per lui ed è il senso della sua vita e dà senso a tutto il resto. Ed è questo l’illuminazione alla quale vuol portare il Vangelo.

46 E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.

Ci troviamo a Gerico che sta a quattrocento metri sotto il livello del mare, c’è tutto il cammino in salita da fare per andare a Gerusalemme e Gerico era alle porte della terra promessa, la città imprendibile: fu presa al suono delle trombe, girando attorno e quando fu presa Gerico Gesù disse: “Maledetta Gerico e maledetto chi ricostruirà a Gerico!” e Gerico fu ricostruita almeno sei volte anticamente, è la città più ricostruita. È quella città che sta alla difesa della terra promessa e che impedisce di entrare nella terra promessa e questa Gerico è simbolo della nostra cecità.

Agostino la interpreta come simbolo dell’uomo perché Gerico ha la stessa radice di luna, come l’uomo che è sempre uguale e sempre diverso, ma monotonamente uguale, va e viene, va e viene, ma non ha mai la sua stabilità. Gesù passa da Gerico, in questa instabilità, in questa cecità dell’uomo, in questa barriera che impedisce l’ingresso nella terra promessa. Ci passa coi discepoli e grande folla e il questa folla c’è uno che ha un nome Timeo e suo padre pure si chiama Timeo, ed ha delle caratteristiche interessanti: la prima che è cieco, come i discepoli che immediatamente prima domandavano di stare alla destra e alla sinistra nella sua gloria, non capivano cos’era la gloria.

La prima qualità del discepolo è quella di essere cieco. Cieco, ma non cieco comunque, cieco davanti a qualcosa di preciso, alla gloria e la gloria è proprio il valore della vita. È una forma di daltonismo, siamo ciechi al colore di Dio, il resto lo vediamo bene. La seconda caratteristica è che sta seduto; i discepoli sono chiamati a camminare ad andare dietro, questo è cieco e sta seduto. La terza caratteristica è che i discepoli devono fare il cammino, questo è seduto e sarebbe fuori strada per sé nel cammino, ha però una qualità positiva che è mendicante, cioè che domanda, mendicante qui è la parola uno che domanda. È uno che chiede, perché? Perché sa di essere cieco, mentre i discepoli sono ciechi, cioè non vedono, stanno seduti ma non lo sanno, questo ha il vantaggio di saperlo.

47 Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.

Questo è cieco, ma può udire, ha sentito che c’è Gesù che passa e la fede viene dall’ascolto, il principio della fede, e può parlare, si mette a gridare : “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”.

Questa è la preghiera fondamentale del Vangelo ed è l’ultima preghiera e il senso di questa preghiera consiste in due cose: quest’uomo chiama per nome Gesù, è l’unico nel Vangelo che dice la parola Gesù, nessuno l’ha mai chiamato per nome nel Vangelo.

Chiamare per nome una persona vuol dire essere amici, essere in relazione. E Gesù è il nome di Dio che salva. Questo conosce il nome, chiama per nome Gesù perché? Perché è cieco, è mendicante, è seduto in strada, per questo ha il diritto di chiamarlo per nome. Perché è perduto e allora chiama il nome che vuol dire “Dio salva”.

Questa preghiera contiene ogni preghiera, contiene il nome, la relazione con il Signore e poi dice la propria verità. “Abbi pietà di me”. Ha capito che il Signore è pietà e misericordia, ha capito che lui ne ha bisogno. Può sembrare strano, “il vedere” è capire questo : che io ho bisogno della luce, cioè che io sono cieco, seduto, fuori strada.

Noi pensiamo che l’illuminato sia uno bravo, buono, perfetto, che ha capito tutto, ecco quell’illuminato lì è pericoloso. Il “vedente” è quello che sa di non vedere, di essere fuori strada, di non camminare, sa finalmente di avere bisogno e, allora, ha l’umiltà di chiedere e proprio così entra in relazione personale con Dio chiamandolo per nome.

48 Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.

Immaginate la situazione del cieco che è sempre stato nella notte e che grida invocando la luce, di venire alla luce ed è importante perché vuol dire conoscere la realtà. Ha sentito che passa Gesù, ha capito che è lì, ha capito che lui ha bisogno, ha capito di essere cieco e l’illuminazione passa attraverso questa cecità riconosciuta. Potremmo dire che egli non molla la preda, non desiste e “questo grido della miseria”, ferma la misericordia che è Gesù:

49 Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”.

Gesù si ferma, ecco davanti al grido, Dio si ferma sempre, magari le nostre preghiere non le ascolta, perché chissà cosa vogliamo, ma il grido deve ascoltarlo per forza. La mamma se il bambino le chiede molte cose normalmente non gliele dà perché gli fan male, ma se il bambino si mette a gridare va a vedere cosa c’è. Perché il grido indica il male, il disagio, qualunque disagio sia.

Il Signore si ferma a questo grido e poi dice “Chiamatelo” e questo è molto consolante, sono incaricati di chiamare il cieco i discepoli che sono i ciechi, questo è consolante anche per chi legge il Vangelo che dice : “Magari io non capisco, ma gli altri, attraverso la parola lo capiscono”, quindi se anche gli apostoli che erano ciechi hanno chiamato il cieco ed è stato guarito, speriamo che capiti così sempre, fino a quando capiterà anche all’apostolo che sa di essere cieco e allora verrà guarito. Ed è bello appunto che la chiamata viene anche da chi è cieco e non sa di esserlo e vale comunque e gli dice anche le parole giuste: “Coraggio” e coraggio è sinonimo di fede, non aver paura, l’incredulità, la sfiducia è paura, la fede è sempre coraggio e poi dice “Svegliati”, svegliarsi vuol dire risorgere, passare dalla morte alla vita, perché? Perché ti chiama , è la sua chiamata che ti sveglia.

50 Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.

È interessante l’incongruenza: “in mezzo ala folla, un cieco che va tranquillo, alzandosi”. Prima di tutto getta via il mantello, il mantello è tutto per il povero, gli serve da coperta, da materasso, da vestito, da casa, tant’è vero che è proibito tenere in pegno il mantello del prossimo, la sera lo devi restituire, se non con cosa dorme? Perché il mantello è il tutto, quindi vuol dire che butta via tutto e dopo può balzare in piedi e praticamente correre da Gesù, viene quasi il sospetto che fosse cieco perché aveva il mantello sugli occhi.

Cos’è che ci rende ciechi? Le nostre sicurezze. Noi abbiamo sempre davanti agli occhi quel che ci interessa, è questo che ci rende ciechi. Come i discepoli avevano davanti agli occhi : “Chi tra noi è il primo, cosa faremo adesso?” è questo che ci rende ciechi davanti alla realtà, noi non vediamo mai la realtà, vediamo il mantello che abbiamo calato su. Solo buttando via quello ci vedi e puoi correre da Gesù e avviene il prodigio. Il cieco butta via tutto: balza e va!

51 Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”.

Ora Gesù fa la domanda, sperando in una migliore risposta. L’ha già fatta questa domanda ai discepoli Giacomo e Giovanni: “Cosa volete che io faccia per voi?” e quelli gli fanno una richiesta e Gesù risponde: “Non sapete quello che chiedete”. Questo cieco sa quello che chiede.

È interessante, allora in cosa consiste il suo “vedere”: nel sapere di essere ciechi e nel chiedere la luce. Finalmente, so cosa chiedere, quello che Dio mi vuol dare, mi vuol dare la luce, mi vuol far capire, che “chi sono io e chi è Lui”, mi vuol far vedere la realtà con i suoi stessi occhi, è questo il dono che mi vuol fare.

Tutti i vari doni del Vangelo puntano a farci nascere come figli: il vedere la luce, vuol dire venire alla luce, vuol dire nascere come uomini liberi, perché vediamo che Lui è il Signore, che Lui ci ama, che siamo figli amati e nasciamo come figli.

Il cieco sa cosa chiedere ed è questa la gloria annunciata da Ger 9,23: “Chi vuol gloriarsi, si vanti di questo, di avere senno e di conoscere me, perché io sono il Signore che agisce con bontà, con diritto e con giustizia sulla terra; di queste cose mi compiaccio”.

Se noi riuscissimo a capire che la nostra gloria è l’amore che il Signore ha per noi, il nostro essergli figli, il nostro essere fratelli, realmente questa è vivere nella luce. Vivrai da figlio e da fratello, diventi uomo nuovo.

52 E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Gesù gli dice: “Và, la tua fede ti ha salvato”. Non io, è la tua fede che ti ha salvato, la fede è ciò che salva, e la salvezza cos’è? È vedere, chi non vede non capisce. E in cosa consiste in concreto il vedere? Seguirlo nel cammino: “lo seguiva”, cioè ha cominciato e non ha ancora finito, continua a seguirlo.

Questo brano ci fa vedere cos’è l’illuminare della fede, è descritto in modo molto semplice, innanzi tutto attraverso gli orecchi : sente, poi la bocca : grida, poi le mani : getta via il mantello, poi i piedi : balza, poi chi occhi e poi di nuovo i piedi per camminare. È una fede molto concreta, che ha orecchi, bocca, piedi, mani e come principio ha la miseria riconosciuta, cioè che io non vedo, sono cieco, in strada, seduto.

Come mezzo ha l’invocazione, invocazione del nome e come risultato è questo vedere e seguire nel cammino, questa è la fede che salva. Praticamente questo è il dono che vuol farci il Vangelo: farci seguire il cammino di Gesù, il cammino del Figlio. Il “vedente” è quello che segue il cammino del Figlio e diventa così se stesso, figlio.

Questo miracolo contiene tutti i miracoli proprio, venire alla luce, è il nascere, il vero miracolo è la fede. Quando uno conosce l’amore di Dio per lui finalmente vive come figlio, come fratello. Allora il problema della vita non è tanto chissà cosa bisogna cambiare, no il vero problema è vedere, vedere. L’unica cosa da cambiare è cambiare testa, cambiare il modo di pensare, vedere poi tutto il resto segue. Non è da cambiare il mondo per farlo quadrato, va bene così, se gira così va bene che giri, il problema è un altro: vedere come gira e che senso ha l’insieme, se questo è il dono che Dio fa ai suoi figli : è che noi viviamo da fratelli ed ecco che questo mondo è luminosissimo; se no non si capisce perché si è al mondo. La fede, così, diventa un cammino, un vedere, un camminare, il cammino del Figlio, diventiamo come Lui, ed è questo il dono che il Vangelo ci vuol fare, fin dal principio.